di Lucio Maciocia

Il 6 settembre è rientrato in casa mia il ritratto che vi mostro. Ho deciso che sia molto importante raccontarvi la storia di questo ritratto: è una storia magnifica e terribile e, se posso raccontarla, lo devo a Paulette Valente Tichenor e i suoi due fratelli, miei nipoti. Grazie ancora. 

Questa è la storia:
Il quadro rappresenta mio padre, Gilberto Maciocia, nato ad Isola del Liri nel 1898, emigrato in Scozia a 9 anni con tutta la famiglia; il quadro è stato dipinto da un tedesco nel 1943 in un campo di prigionia in Australia. 
Tutto inizia con la dichiarazione di guerra di Mussolini all’Inghilterra, Francia e USA nel 1940. Churchill non la prende bene, si infiamma e decide che tutti gli italiani adulti che vivono in Gran Bretagna debbano essere deportati. Tra questi c’è mio padre e suo fratello Gustavo. Gustavo viene internato sull’Isola di Man, mio padre, insieme ad altri 712 italiani e tanti altri prigionieri austriaci, tedeschi e altrI (per un totale di 1.550 persone), viene imbarcato sul transatlantico Arandora Star, con destinazione il Canada. Il provvedimento di Churchill, inoltre, prevedeva anche l’internamento delle famiglie degli italiani presso fattorie disperse nelle campagne. Gli italiani imbarcati erano del tutto ignari della loro destinazione: erano civili dai 17 ai 70 anni, commercianti, cittadini comuni, alcuni antifascisti. 
L’Arandora Star era senza scorta, armata da due cannoncini, senza insegne della croce rossa. Al largo dell’Irlanda, il 2 luglio del 1940, la nave fu attaccata da un sommergibile tedesco con il suo ultimo siluro. L’agonia della nave è durata 40 minuti, sono morti 446 italiani dei 712 che erano a bordo; i superstiti rimasero in acqua per 7 ore, fino a che furono recuperati da un incrociatore canadese. Mio padre si salvò: sapeva nuotare. Sono morti dimenticati: gli inglesi se ne sono liberati, un problema in meno, l’Italia fascista ha festeggiato la straordinaria impresa di un sottomarino tedesco che aveva affondato una nave nemica. La mattina del 12 luglio i superstiti raccolti dall’incrociatore canadese furono trasbordati sulla nave mercantile Dunera, con destinazione Melbourne in Australia. Non credo che siano mai giunte notizie alle famiglie degli italiani rimaste in Gran Bretagna su chi fosse morto e chi si fosse salvato, se non al momento dello sbarco avvenuto dopo due mesi di navigazione, su una nave sovraccarica, senza viveri sufficienti, per giunta silurata a sua volta (almeno questa volta senza conseguenze). E’ difficile immaginare cosa possano aver passato quelle genti durante il viaggio. 
Così mio padre arriva in Australia, in un campo di prigionia (non so dove) e convive insieme ad altri prigionieri che provengono soprattutto dallo scenario asiatico. Qui nel campo possiamo presumere che incontra un suo amico tedesco, pittore, che gli fa un ritratto. Il pittore ha firmato il quadro con una N in corsivo e una data, il 1943. Mio padre, quando nel 1945, riesce a tornare in Scozia dalla sua famiglia porta con sé il quadro. E’ molto probabile che lui non avesse avuto alcuna notizia dalla famiglia, mentre, forse, la sua famiglia, chissà quanto tempo dopo, dovrebbe aver saputo che fosse ancora vivo. La moglie, Beatrice De Luca, nata ad Atina, è morta nel periodo di internamento, i 3 figli sono rimasti soli, il bar ristorante in Scozia, nella zona di Kirkcaldy, chiuso. Posso soltanto immaginare cosa possa aver provato quest’uomo di fronte a questa sciagura, nel passare dalla gioia del ritorno al dolore del lutto.
Ma la vita ricomincia, rimette insieme il negozio e, dopo un po’, accoglie da Atina un’altra giovane donna per farsi aiutare nel lavoro, quella che nel 1957 diventerà mia madre. La differenza di età tra i due è grande, 24 anni, mia madre ha la stessa età della prima figlia, ma questo non impedisce che Gilberto e Iole si sposino. Nel 1956 mia madre rimase incinta, mio padre era stanco della Scozia, aveva una casa in Italia, ad Isola del Liri, costruita dal padre e nella quale erano morti i suoi due genitori. Decide che il suo nuovo figlio dovesse nascere in Italia e così si trasferisce, moglie incinta, bagagli e quadro e ritorna ad Isola. E’ conosciuto come “lo scozzese”. Riesce a godersela poco l’Italia: nel 1963 Gilberto, mio padre, muore, anche a causa delle 7 ore passate a mollo nel Nord Atlantico. Io avevo 6 anni. C’è da mettere a posto l’eredità e allora arrivano ad Isola i miei 3 fratelli: Maria, quella che ha la stessa età di mia madre, Lina, che abita negli Stati Uniti, e Antonio, il più piccolo. Lina è addirittura nata ad Isola, mio padre ci teneva a conservare l’italianità, ha fatto per 9 volte il tragitto tra Scozia e Italia in auto e una volta in moto, con le sue MG (le sue iniziali). 
Ma torniamo all’eredità: Lina chiede, come ricordo, proprio il ritratto di mio padre, quello che lo raffigura in divisa da prigioniero in Australia. Mia madre mi chiese allora se ero d’accordo ed io risposi di sì e il quadro trasvolò l’oceano e arrivò negli Stati Uniti, in Virginia. 
Da allora ho perso i contatti con mia sorella Lina e con il quadro, pur conservandone memoria. Lina muore nel 2004 (i miei 3 fratelli sono tutti morti), senza che abbiamo mai avuto modo di rivederci. Poi, poco prima di questa estate, grazie ai parenti scozzesi, Paulette Valente Tichenor, figlia di mia sorella Lina, prende contatto con me via facebook (abbiamo un sito interamente dedicato alla famiglia Maciocia). Paulette vive a Newport News, è rimasta vedova e abita insieme al fratello e alla sorella, due gemelli. Ci raccontiamo delle nostre vite ed io gli chiedo se c’è ancora in ritratto di mio padre. Paulette mi dice che c’è ancora, ma che nessuno dei tre ha alcuna memoria di quell’uomo e decide di rimandare in Italia quel ritratto.
Questa è la magnifica e terribile storia del ritratto di mio padre.

Le notizie le ho raccolte dal racconto orale di mia madre (le 7 ore in acqua e il pittore tedesco) e, dal punto di vista storico dalla magnifica opera di Maria Serena Balestracci: “Arandora Star, una tragedia dimenticata”. Se ne volete saper di più, questo è un link da cui ho tratto altre notizie: http://www.cdsconlus.it/index.php/2016/10/21/4262/
Vorrei che questa storia girasse, mi farebbe piacere riuscire a scoprire i luoghi di prigionia in Australia e il nome del pittore tedesco.

 

Lucio Maciocia durante il suo intervento al Convegno sulle vicende dell'Arandora Star, il 10 luglio 2019 a Picinisco

 

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