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Anne Pia  - Scrittrice, ambientalista, nonna. Vive a Edimburgo  in Scozia

NOTE "CORONAVIRUS" ALEGGIANO SULLA STESURA DEL MIO ULTIMO LIBRO, di Anne Pia

Il mio ”lockdown” è stato graduale e progressivo. Poco dopo che cominciassi a correggere questo libro, il coronavirus ha accelerato il suo passo in Inghilterra. Avevamo già visto gli orrori di quello che ci aspettava in Cina, in Spagna, in Italia. Mentre sto scrivendo queste immagini si susseguono sugli schermi dei nostri televisori.

Ci dicono della rapida sepoltura dei cadaveri, senza testimoni per evitare lo spargersi del contagio, e mi sovviene la lettura ai tempi dell’Università della Peste di Camus e del salace Decamerone di Boccaccio, scritto nel XIV sec. Quando la “peste nera” sterminava la popolazione italiana. Un gruppo di uomini e donne si appartarono nel contado fuori delle mura fiorentine e si raccontarono Storie per dieci giorni.

Ma la primavera non è qui ancora e sarebbe freddo sulla collina fuori città. Suppongo di dover essere grata ai ratti di fogna annunciatori !! Cammino per il centro deserto della città. Le nostre strade erano più strette silenziose e grigie, data l’assenza di gente e macchine. Quei bei palazzi neoclassici di Edimburgo, belli una volta, ora incombono. L’architettura Playfair- Adam, mi sgomenta, mi ricorda la “Città Santa”e sembra presagisca che anch’io sia tra i prescelti. Sono condannata a morte! Domani mattina mi sveglierò con febbre e tosse secca, come vetro incrinato.

Esco fuori per una boccata d’ossigeno, un’oretta ogni giorno faccio il giro del parco locale tre volte. 

Cambio l’ora in cui esco, non è che non posso, ma non voglio dormire per paura del giorno che verrà. Ho preso ad ascoltare i quartetti per corde di Haidyn. Offrono forma e struttura. La forma classica è familiare e rassicurante. La scorsa notte ho provato ad ascoltare qualcosa di nuovo: Arvo Part. L’ho trovato troppo impegnativo, troppo inquietante, perché l’unica cosa che riuscivo a visualizzare era me stessa che camminava in uno spazio bianco, ho smesso di ascoltare dopo due minuti. Prima di avventurarmi per la strada alberata, dove vivo, con maschera e guanti, mi predispongo ad un possibile incontro con la morte, un incontro surreale con un passante che potrebbe risultare letale per ciascuno di noi. Nessuno sorride, ci temiamo a vicenda. Rabbrividisco al racconto giornaliero di quelli che lavorano negli ospedali riguardo alla tanta gente che muore sola, nessuna manifestazione dell’amore naturale che solo madre e figlia possiedono, nessuna mia ragazza, il cui odore confortante è così familiare, per tenerti la mano mentre ansimi per un ultimo respiro che ti tenga in vita solo qualche minuto in più.

Nessun sussurro prima che i filamenti dell’ombelico che dopo tutti questi anni ti uniscono siano finalmente recisi. E ho così compreso solo recentemente che starsene al sicuro è l’unica possibilità per ritornare a vedere i miei figli.  E’ per questo che persevero.  Questo genocidio causato da un capriccio della natura, così ci viene detto, è quello che stiamo attraversando. Una maledizione per i più vulnerabili, per i più deboli.   

Ci domandiamo il perché del momento e dei suoi motivi politici. Ci domandiamo chi è vulnerabile e in base a quali criteri, perché come un astuto assassino questo virus è volatile, imprevedibile, che cambia il suo “modus operandi” mentre si sparge per il globo.

Queste sono cose da chiarire per la storia futura. Non ci sono risposte e noi non siamo preparati per il presente olocausto. Nel frattempo sto terminando la stesura del mio libro, non sapendo se sarà mai letto. Quale mondo lo accoglierà e se io, o quelli che amo, sopravvivremo per goderci la soddisfazione e il trionfo della sua pubblicazione. In molti dei suoi capitoli ho descritto la mancanza di solidità e in permanenza di tutto l’universo inclusi noi stessi.  Il cambiamento e lo spostamento nei nostri mondi materiali e spirituali, emotivi e psicologici sono stati il ​​tema principale di tutto.

Appena un mese fa, ma sembrano secoli, c’era consistenza. Tutto sembrava prevedibile, persino il cambiamento e il futuro. Si potevano definire. C’era attesa, gli esperti facevano previsioni ed alcuni di noi osavano immaginare. Ma alcuni giorni dopo in questo nuovo sconosciuto habitat, dove è svanito tutto quello che si sapeva e che si dava per scontato, lasciando il minimo necessario, mi pare, se mi metto a pensare che l’intero firmamento possa collassare. Così mi sono rinchiusa nel guscio. La veduta dalla mia finestra è sempre la stessa.

Il parco è sempre li. Rimango in contatto con il mondo di fuori, con i miei mezzi di comunicazione. Su di essi ho una certa forma di controllo. Evito i social-media e li cancello rifiutandomi di ascoltare gli ultimi aggiornamenti sul numero dei morti, nessun desiderio di sentir dire che la situazione peggiorerà. Conosco il peggio e qualora accadesse ne verrei a conoscenza in ogni caso. In questo scenario spopolato la corteccia dell’albero delle mie sensibilità è divenuta più sottile, solo un lieve strato, ora che parlo più facilmente e spontaneamente di amore, non solo verso la famiglia ma anche verso gli amici.

Saluto gli estranei, sorrido ai bambini e ai cani. La distanza tra i due estremi della mia gamma emotiva si è accorciata. Il mio IO mostra crepe, la voce piangente, le mie gote bagnate di pianto senza alcun preavviso. Non ci sono sintomi precursori nel mio stomaco o nei polsi. A prescindere dalle irritazioni che mi causano quelli che ignorano il distanziamento sociale, facendomi finire nell’acqua, quando cammino sulla spiaggia o sulla strada quando cammino sul marciapiede. Mi pare di amare con più libertà e generosità. Al momento credo di amare tutti. Ognuno mi è caro e ogni incontro prezioso. Agli estranei che si fermano a chiacchierare concedo la mia piena attenzione. Mi sento arricchita. E mentre il virus puntava verso le nostre spiagge e si stava attuando il rapido “lockdown” per arrestarlo o perlomeno rallentarlo.

Sopraggiunsero altre notizie. Una cauta presenza. Spazio tra i titoli, altra maniera di reportage. Gloriosa rinascita. Indizi preziosi. Per favore datecene ancora. Aria più pulita, il ritorno del cielo blu, l’acqua limpida, inquinamento ridotto. Le drastiche misure per controllare la pandemia hanno avuto un effetto persino più grande sull’altra tragedia del riscaldamento globale e sulle sue conseguenze devastanti. Di fronte ad una scelta difficile ed immediata un piccolo prezzo da pagare per la nostra vita e quelli che amiamo, volontariamente siamo tornati al minimo necessario, accettando limitazioni, ci siamo fatti rinchiudere nello steccato. Osserviamo come il mondo della natura con quella irrefrenabile energia che è la sua essenza, dia inizio a un tentativo di un processo di rinnovamento. Già da tempo molti di noi nutrivano lo scomodo presentimento che il mondo fosse sull’orlo di eventi completamente fuori controllo, che fosse necessario una specie di risveglio, che ci fosse bisogno di ricostruire la nostra società, le nostre istituzioni su fondamenta solide. C’era il bisogno urgente di riconsiderare lo scopo dell’esistenza umana e di noi stessi. L’isteria collettiva, l’egoismo, la fame, il contrapporsi degli uomini erano troppo istituzionalizzati ed endemici. L’ondata del “trumpismo” e di quelli come lui sparsi nel mondo era troppo forte e difficile da contenere…..non ci rimane che ricorrere al supermercato, disinfettare i tram, tenere l’ordine delle file. In migliaia sono tornati in servizio nel sistema ospedaliero, dove dottori e infermieri rischiano la loro vita per accudire malati e morenti, lo fanno perché vogliono aiutare secondo le loro capacità. Si formano associazioni locali per stare in contatto con quelli che non possono uscire di casa. Si chiama per telefono e si conversa con tutti quelli che da settimane sono rimasti isolati. Si stabiliscono contatti importanti con parole, con l’ascolto, magari raccontando barzellette a gente che non conoscevamo. Prendiamo insieme un caffè, incontriamoci quando tutto è passato, quando saremo dall’altro lato. Vediamo in maniera più chiara quello che ci unisce piuttosto che le nostre differenze. Ci comportiamo in modo gentile, compassionevole, caritatevole con quelli d’intorno del vicinato, nelle strade, nei negozi. Diciamo grazie di cuori, sì veramente ! per lo più mostriamo quello che siamo dentro, palesiamo la nostra umanità. Andiamo avanti convinti della solidarietà, con fede sicura nella nostra sopravvivenza come individui e l’aspirazione per la nostra società di essere e diventare migliore. Non avremmo voluto questo virus e questo cambiamento repentino delle nostre vite. Non volevamo né tragedie né paure, niente sarà più come prima.                                     

Potremmo forse rispondere al richiamo di quelle voci solitarie, che come individui cambiati, ci porteranno a riconsiderare il capitalismo, i cambiamenti, la polemica, a costruire un nuovo corso. In ogni caso domani ci riprenderemo e riaffermeremo la nostra libertà di scegliere e di permettere all'energia della natura di rinnovarsi nel grembo di madre terra e di noi stessi.

Anne Pia

 

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