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Sono migliaia i giovani che partono dall’Italia verso l’Europa e verso altri continenti. Cercano quelle opportunità che in patria sono precluse da una lunga serie di motivi.
Inseguono nel mondo le diverse vie della ricerca, dell’arte, delle professioni, in una parola dell’occupazione e di una migliore realizzazione di sé. Alcuni trovano strade aperte e prestigiose, altri trovano condizioni di lavoro e di vita certamente più dignitose di quanto potevano esserlo in patria. Altri ancora, e non sono la maggioranza, rientrano. Qualcuno dice che il nostro “non è un a paese per giovani”. Ha molte ragioni.
Sono i nuovi migranti punto zero. Seguono criteri, percorsi e condizioni totalmente diverse rispetto a quelle seguite da milioni d’italiani per più di un secolo. Nel loro bagaglio ci sono quasi sempre preparazione professionale, apertura mentale, disponibilità, curiosità e coraggio. Ma soprattutto rinunciano alla coperta protettiva di mamma e papà.
Si dicono “cervelli in fuga”, non tutti, ma molti lo sono. E il nostro paese con essi perde pezzi della sua umanità, oltre che tutte le risorse economiche utilizzate per educarli e portarli a condizione lavorativa. Tuttavia non sarebbe del tutto negativo se il fenomeno rientrasse nell’ambito dello scambio, delle esperienze all’estero, della ricerca di ulteriori opportunità e dell’allargamento del proprio raggio di attività. Purtroppo non è così: l’anno scorso come testimonia la ricerca della Migrantes nel Dossier Italiani nel mondo, sono ufficialmente stati 130.000 gli italiani che hanno preso residenza all’estero. È’ chiaro che realmente saranno almeno il doppio. In grandissima parte sono giovani e giovanissimi. Temiamo che questo fenomeno sia un brutto indizio che non si tratti solo di una crisi economica, ma che ad essere in discussione, e non più sostenibili, siano la trama dei valori condivisi che hanno tenuto e tengono insieme la nostra comunità.
Francesco Ianni
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