La questione dell’identità in Dominic Marsella da Belfast  

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L’atto dell’emigrare implica una frattura tra sé e le proprie radici. Una frattura che, nelle prime generazioni di migranti, dopo il primo feroce impatto, è resa meno traumatica dalla certezza che si tratti di un periodo temporaneo, dalla fiducia che sia il prezzo per migliorare le aspettative di vita per sé e per i propri cari, dalla convinzione di aver scelto una strada difficile, ma senza alternative e risolutiva. Presso i migranti di prima generazione l’identità non è mai in discussione, si conserva la propria cultura di nascita e basta. Il problema si pone in modo più subdolo e penetrante presso le seconde e terze generazioni. Quando si continua a oscillare tra la cultura di partenza e quella di arrivo, quando dopo decenni lo stesso nome timbra in modo inequivocabile le origini. Ecco cosa vuol dire sentirsi appiccicato un marchio di estraneità: sei italiano in Francia, in Germania, in Canada ecc e sei francese, tedesco o canadese in Italia. E’ dunque presso le seconde e successive generazioni che si materializza il problema dell’identità: quando non si è troncata completamente la cultura d’origine e non è completa l’integrazione nella cultura d’arrivo. Per quanto riguarda la vecchia Europa la realizzazione dell’Unione Europea ha posto le basi per risolvere la contraddizione, costruendo il concetto di un uomo nuovo con identità europea, come naturale sbocco delle diverse culture che la compongono: rendendo molto più facili i viaggi, integrando le economie, uniformando le normative, favorendo la reciproca conoscenza ecc.

Tutto ciò è ben chiaro in Dominic Marsella, nato educato e vissuto da più di mezzo secolo in Irlanda del nord, che decide di assumere questa doppia identità: cittadino britannico (con pulsioni irish..) a Belfast, cittadino italiano a Casalattico.

 Valcomino senza confini

 "Chi e che cosa sono?"…  

In quanto discendente di emigrati italiani di prima generazione da parte di mia madre e di seconda generazione da parte di mio padre, ed essendo cresciuto a Belfast, spesso ho fatto fatica a capire il mio senso di identità.

Io in braccio a mio padre Pietro Marsella e mia madre Porzia Forte

Spesso mi sono chiesto “Chi e che cosa sono?”

Solo più Avanti con gli anni ho capito che oltre alle quattro grandi libertà elencate dal grande Americano Franklin Delano Roosevelt, la libertà più preziosa è quella di possedere un senso di identità.

Il senso di identità significa conoscere intimamente da dove abbiamo origine, non solo in termini familiari, ma anche in termini geografici e dunque storicamente e culturalmente.

Qui a Belfast sono profondamente irlandese. Anzi, mi considero “più irlandese degli irlandesi stessi”. Mi compiaccio nel considerarmi un Irlandese/Italiano.

Mio padre Pietro Marsella con la sorella Francesca nel laboratorio del negozio di York Street

In Valcomino sono profondamente italiano e mi compiaccio nel considerarmi Italo/Irlandese.

Mentre crescevo a Belfast l’italiano era la mia prima lingua e l’avevo imparata da mia madre. All’inizio della scuola ero quindi svantaggiato. Lasciando casa la mattina lasciavo una casa in cui si parlava italiano con il dialetto ciociaro Montatticese e Mortalese dell’ottocento, ed entravo nel mondo dell’apprendimento in cui si parlava inglese. La matematica, che è una lingua astratta, era una sfida continua. Imparare a leggere mi venne più facile.

Nonostante ciò, ho perseverato nella sfida accademica fino alla soglia dei vent’anni, quando i vantaggi del parlare una seconda lingua sorpassano gli svantaggi.

Ho progredito negli studi all’università fino a diventare un insegnante e negli anni ho aggiunto ulteriori studi ai miei successi accademici.

Con mia madre Porzia Forte davanti la Queen's University a Belfast 

Sono orgoglioso di essere stato il primo nella mia famiglia ad essermi avventurato così tanto nel mondo accademico nella professione che ho scelto in quanto insegnante.

Tornare in Valcomino ripristina il mio prezioso senso di identità familiare, culturale e personale. Mi ricordo ancora la prima volta, ad aprile e maggio del 1954, quando con mio padre Pietro ho intrapreso un viaggio via terra verso l’Italia. Ricordo le navi, i viaggi in treno attraverso la Francia e l’Italia in un’Europa che ancora si stava riprendendo dalle ingiurie della Seconda Guerra Mondiale, viaggiammo attraverso il Traforo del Sempione appena aperto per emergere nella pianura lombarda e poi verso Piacenza e Milano e poi finalmente alla stazione Termini a Roma. Ricordo l’Albergo Torino in via dei Mille, il Colosseo e il Vaticano. Ricordo la prima notte a Mortale/Monforte quando mio padre aprì la valigia per consegnare cioccolata, sigarette e perfino la pancetta irlandese a mia nonna Teresa ed ad un felicissimo zio Elio e famiglia.

Ci sono molti altri ricordi delle immagini, gli odori, e la gente.

Come nel giorno in cui Marcuccia mi diede uno schiaffo per aver rubato delle mele dal suo albero. Mio padre che mi aiutava a sparare il suo calibro 12 e lui che mi confortava mentre piangevo dopo lo sparo. Giocare a pallone a La Soda. Guardare le donne che prendevano l’acqua dai pozzi e vederle portare con grazia le brocche d’acqua sulla testa, le loro lunghe gonne nere che ondeggiavano mentre camminavano.

Forse, cari Franco e Paolo, più in là vi racconterò altro.

Saluti da Belfast,

Dominic Marsella

Commenti   

0 #1 Bravo 2018-02-25 21:25
Bravo Dominic bella storia ben raccontata , ricordo benissimo anche io il vostro viaggio nel 54 , ricordo che tutti e due cascammo dal l’asino Mentre scivolò al figurone , bei tempi d’infanzia
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