La storia del mio controverso amore per la Russia è iniziata nel 2012, anno in cui ho vinto una borsa di studio riservata agli studenti di lingua russa dell’Università di Roma Tre per frequentare un corso di tre mesi all’Università Statale di Mosca.
Dopo questa prima esperienza, sono tornata ancora una volta in Russia, ma a San Pietroburgo nel 2014 con una borsa di studio universitaria per svolgere all’estero le ricerche per la tesi sul teatro russo della Perestrojka. Due mesi dopo essere tornata in Italia, grazie ad una borsa dell’Unione Europea, sono andata a Tallinn, capitale dell’Estonia, il cui 20% della popolazione è di etnia russa, per un tirocinio come insegnante d’italiano per gli stranieri presso l’Università di Tallinn. Ritornata in Italia, mi sono laureata e ad aprile 2016 ho iniziato a collaborare con una onlus che fa parte della Rete “Scuolemigranti” per l’insegnamento dell’italiano a tre fratellini bengalesi giunti in Italia per un ricongiungimento famigliare. Proprio grazie a questa esperienza ho incominciato ad interessarmi alle problematiche relative all’immigrazione e all’inserimento dei bambini immigrati all’interno delle classi della scuola italiana.
Sin da subito ho capito che la Siberia e i suoi abitanti erano diversi. Ho percepito un calore inaspettato, ad incominciare dalla bidella dello studentato universitario che mi ha accolto di domenica alle cinque e mezza di mattina, nonostante l’impiegata dell’università avesse dimenticato di comunicarle il mio arrivo; per passare poi agli abitanti di Novosibirsk, che a differenza dei moscoviti e dei pietroburghesi, quando entrano nella stazione della metropolitana si girano a vedere se dietro di loro c’è qualcuno in modo tale da reggergli la porta per non fargliela sbattere in faccia; fino ad arrivare ai colleghi, ai miei studenti, ai compagni del corso di russo che frequento, alla mia coinquilina e a tutti coloro che ora posso definire più che conoscenti. Nonostante le condizioni metereologiche avverse, con temperatura minima media di -18°C a gennaio, il mese più freddo, i siberiani hanno un cuore caldo e finora si sono dimostrati amichevoli, ospitali e gentili. Studiano l’italiano per i motivi più disparati: se da un lato ci sono quelli lavorativi, visto che Novosibirsk è ricca di industrie automobilistiche, metallurgiche e poligrafiche che hanno rapporti commerciali con l’Italia, dall’altro c’è la semplice passione per il nostro paese, per la sua cultura, il clima, la cucina, la storia e chi più ne ha più ne metta. Sebbene la loro festa più sentita sia il Capodanno e non il Natale, sebbene i bambini credano in Nonno Gelo e non in Babbo Natale, sebbene mangino la pasta (scotta) come contorno e non come primo, sebbene mettano il pesto sulla Caprese e sebbene bevano il thè con la pizza, ho constatato che i siberiani e gli italiani hanno molto in comune nel temperamento e nell’animo.
A febbraio questa mia esperienza giungerà al termine e già da ora posso dire che è stata una fonte inesauribile di arricchimento professionale, personale e soprattutto umano.