Una personalità volitiva, irrequieta , ma anche accattivante quella di Giulio Zincone da Fallena di Casalvieri. Già negli anni trenta, poco più che quindicenne, se ne era andato in Francia.

Non aveva una specifica qualifica professionale, non aveva mestiere proprio. Era solo dotato di ingegnosità ed intuito. Aveva ereditato dal padre Giovanni la passione di maneggiare motori ed attrezzi, ed era in grado di passare dai meccanismi delle trebbie ai motori delle motociclette, per giungere alle minuterie degli orologi. L’irrequietezza e l’attitudine al viaggio ed alla avventura facevano parte della sua personalità. Dalla Francia passò, siamo negli ultimi degli anni trenta, in Germania, la Germania nazista. Trovò impiego stabile in un’azienda tedesca che operava nel settore delle ferrovie. Al servizio di questa azienda era stato inviato in Norvegia. Quasi a presagio alla futura invasione nazista. Ma poco prima che scoppiasse la guerra riuscì a rientrare in Italia. Giusto in tempo per indossare la divisa, in un servizio militare che il suo istinto occasionalmente vagabondo gli consentì di svolgere soprattutto in Italia.

Terminata la guerra, giovanotto aitante e sempre irrequieto riprese ad occuparsi di meccanica: sistemava attrezzi agricoli, riparava motori. Insomma sbarcava il lunario in modo precario quando decise di sposare l’amabile Elvira. Nel 1947 nacque Enzo.

Quanto riusciva ad ottenere dagli innumerevoli mestieri che svolgeva era purtroppo sempre poco rispetto ai bisogni. Come avveniva per tantissimi altri giovani e meno giovani, nel 1949,  l’istinto al viaggio e la precarietà economica lo indussero ad orientarsi verso il Venezuela. Nessun punto preciso di riferimento presso chi e dove andare, ma la speranza e generiche informazioni sulle opportunità di lavoro, la possibilità di entrare nel paese senza troppe difficoltà furono gli elementi decisivi che lo accompagnarono.

Si andava insieme ad altri. Giulio ebbe per compagno un coetaneo della stessa contrada, Antonio Di Liegghio. S’imbarcarono come tutti a Napoli per settimane di navigazione, in classe “precaria” più che “turistica”. Giunsero a Caracas. Vivevano provvisoriamente tra ripari di fortuna e lavoretti d’occasione. Il sogno del lavoro e del successo aveva un percorso lastricato di sofferenze e sacrifici. Erano giovani e con giovani famiglie lasciate in Italia Giulio ed Antonio. Comunque dopo un po’ riuscirono a trovare lavoro stabile come saldatori nelle strutture dell’ industria edile che, sotto la spinta di un frenetico sviluppo economico, andava nascendo in Venezuela.

Si privavano quasi di tutto per mandare soldi a casa. Si privavano anche delle medicine per risparmiare. Vivevano sempre in baracche in una specie di continuo accampamento, ma la speranza di costruire un futuro faceva sopportare condizioni di vita difficili. Purtroppo dopo un paio di anni l’andamento delle condizioni di vita non sembravano migliorare radicalmente. Giulio, sebbene fosse di corporatura robusta, trovava grosse difficoltà ad adattarsi al clima tropicale. Questa condizione, insieme alla nostalgia della giovanissima famiglia, alla speranza che nel frattempo in Italia le condizioni occupazionali fossero migliorate, lo indussero a prendersi una pausa e a ritornare a Casalvieri. Invece qui trovò le stesse identiche problematiche condizioni di lavoro, “arrangiarsi” “raccomandarsi” “sopportare”, che aveva lasciato.

Mentre lo spirito ribelle lo spingeva a scervellarsi per altre soluzioni, gli arrivò la lettera del suo amico Antonio che lo implorava di ritornare in Venezuela. Antonio si era trasferito in una cittadina dell’interno, TUREN, stato Portuguesa. Turen era punto di riferimento di un piano governativo di sviluppo agricolo del territorio, ai limiti tra il territorio degli llanos e le zone delle foreste pluviali da colonizzare. Pertanto la città era in un fermento economico che offriva molte opportunità facendola diventare punto di attrazione per notevoli masse di emigrati europei, con gli italiani in prima linea.

Giulio riprese la strada del Venezuela ed insieme ad Antonio costituì una società che mise su, partendo dal piccolo, una stazione di rifornimento di benzina. E’ opportuno annotare che lo sviluppo dell’industria petrolifera in Venezuela vedeva protagoniste le potenti compagnie americane del settore. E con le imprese dilagavano i modelli del sistema economico produttivo e culturale americano: automobili americane, canzoni e panini americani, i primi frigoriferi e i primi televisori americani ecc. Anche le stazioni di rifornimento erano di nuova concezione americana.

E la stazione di Giulio ed Antonio era appunto ultramoderna per quei primi anni cinquanta. Man mano i servizi della stazione crescevano: cambio gomme, lavaggio, le più diverse officine per automobili ecc. fino a giungere ad aver bisogno di decine di dipendenti. Ovviamente per i due proprietari non c’era orario di lavoro, non c’era riposo e non c’era problema che non dovessero saper risolvere. In compenso gli affari andavano più che bene.

Giulio era ritornato con soddisfazione alla sua passione per i motori ed era stato raggiunto dalla sua famiglia. Ma la nostalgia ed il continuo malessere nell’adattamento climatico tenevano sempre più aperta la via per il ritorno.

Dopo pochi anni dapprima ritornarono Elvira ed Enzo e poco tempo dopo ritornò anche Giulio. Si era nel pieno degli anni cinquanta.

Giulio non aveva dimenticato la lezione del modello americano e decise di investire installando alle porte di Cassino sulla Sferracavallo una stazione di servizio. Per molti anni quella stazione, sotto l’ombra della ricostruita Abbazia di Montecassino,   fu la più moderna e funzionale del territorio.

E con una mitica GIULIETTA bianca l’irrequietezza migratoria di Giulio aveva trovato sosta definitiva, seguendo il modello che molti avrebbero seguito.

 Il matrimonio di Enzo

Giulio ed Elvira con amici

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