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Condizione coronavirus: estraniamento, diffidenza… elaborazione e adattamenti faticosi… Una condizione alla quale ogni paese si è presentato con le sue insufficienze e le sue qualità…. In cui ha misurato senza trucchi il peso della sua “preparazione”, i suoi difetti e i suoi meriti. A sentire tuttavia i corrispondenti dell’informazione più attenti sembra che problemi, difficoltà e meccanismi dialettici siano abbastanza simili in tutti i paesi, con alcune eccezioni ovviamente. In genere ci si riferisce alla Germania che è sembrata la più preparata alla pandemia e al piccolo Portogallo che ha affrontato in modo pragmatico ed unitario il problema limitandone in modo vistoso gli effetti.

Abbiamo proposto ad alcuni connazionali residenti all’estero di descriverci questa condizione, sul piano generale e sul piano personale. Ovviamente ognuno è stato libero di dire la sua in piena autonomia.

Hanno aderito Davide Iacobelli  dagli Usa,  Aurora Fusco dall’Irlanda, Bruno Colucci dalla Francia, Nadia D’Angela dal Portogallo, Philippe Brolet dal Belgio, Anne Pia dalla Scozia, Franco Pozzuoli dal Canada.

ValcominoSenzaConfini

Davide Iacobelli – Dermatologo, collezionista d’arte, nonno. Vive a Detroit negli Usa

CORONA VIRUS:  ESPERIENZE PERSONALI E CONSIDERAZIONI DA DETROIT (MICHIGAN, USA), di Davide Iacobelli

Le mie due nipotine Valentina (sei anni) e Giulietta (quattro) amano giocare insieme. Il loro divertimento preferito consiste nel preparare “uno spettacolo” per poi presentarlo al papà quando la sera torna a casa dal suo lavoro di Pneumologo /Intensivista dove, nell’Ospedale St. John di Detroit, è in prima linea nel prendersi cura dei pazienti affetti da Corona Virus.

Ecco, papà è tornato: adesso scende nel seminterrato dove si spoglia dei suoi vestiti che potrebbero essere contaminati, si fa la doccia, indossa il comodo pigiama e finalmente può rilassarsi un po’. Lo spettacolo stasera è intitolato “Il Virus” e consiste nel manovrare e dar voce a due marionette in un teatrino di legno coperto da stoffe variopinte con al centro una piccola aperture che funge da palco dove le marionette (azionate dal retro) giocano, parlano, si azzuffano, litigano e poi fanno pace e decidono di andare a fare una passeggiata in riva al lago… Ma la marionetta Valentina a questo punto dice alla marionetta Giulietta: “non si può andare, perché c’è il virus…”

E già stato detto tutto e il contrario di tutto su questa pandemia, quindi c’è poco da aggiungere. Il problema —anzi la sfida— che tutti dovremo affrontare a mio avviso riguarda “the aftermath” cioè quello che succederà nel prossimo futuro.

Si sente dire da politici, economisti, cosiddetti esperti e gente comune che dopo “nulla sarà più lo stesso”. C’è chi dice che dovremo continuare ad usare la mascherina e a mantenere la distanza di sicurezza per chi sa quanto altro tempo e qualcuno ha anche azzardato l’ipotesi che dovremo abbandonare il consueto gesto di stringerci la mano…

La scrittrice e giornalista canadese Naomi Klein in un’intervista rilasciata all’Huffington Post dice che dobbiamo imparare dagli errori commessi in passato (vedi la crisi finanziaria del 2008) e fare delle svolte radicali, tali da cambiare profondamente il modello economico al quale siamo abituati. Dopo il 2008 furono spesi “molti soldi per salvare il sistema finanziario e il conto è stato pagato dalla gente comune con l’austerity”. Ci serve un altro modello economico: il post-crisi sarà certo diverso, “ma come sarà (cioè se migliore o peggiore) dipende da noi”.

Non possiamo permettere che le strutture del sistema usino questa emergenza per creare ulteriori ingiustizie e disuguaglianze. Si deve evitare di ripetere il “lato barbaro” dell’austerity quale l’impoverimento del sistema sanitario pubblico (vedi la “rivoluzionaria” idea—Medicare for all—dell’ex candidato alla Casa Bianca Bernie Sanders); il mancato rispetto dei lavori più umili ma pur sempre essenziali; l’uso e l’abuso di specie animali anche domestiche (vedi i “wet markets” dell’estremo oriente da dove si pensa sia nata questa Pandemia), e cosi’ via.

Per non parlare poi del mancato interesse che a volte raggiunge addirittura il negazionismo da parte di troppi politici e governanti verso il “Global Warming” ormai  ribattezzato “Climate Change” solo per una questione di politically correct, ma che non ne sminuisce la drammaticità.

Siamo noi elettori ad eleggere chi ci rappresenta  nelle varie sedi politiche ed istituzionali.  Spetta dunque a noi cittadini scegliere oculatamente tra chi si batte per un futuro migliore e chi invece ci riempie la testa di slogan tanto altisonanti quanto vuoti.

Il “potere” è nelle nostre mani: continuare con lo status quo, oppure costruire un modello politico sociale ed economico fondato sull’attenzione verso l’individuo e l’ambiente che ci circonda e non basato esclusivamente sul consumo e le leggi di un mercato che lasciato a se stesso finirà col fagocitare tutto e tutti.

Dobbiamo ripartire da questa crisi globale per costruire un futuro più equo e più aperto al rispetto dell’uomo e della natura, perché (come dice Papa Francesco): ”questo non è il tempo dell’indifferenza, dell’egoismo, della divisione e della dimenticanza. Nessuno si salva da solo”.

Ma torniamo al mio piccolo universo: Jason è un mio paziente che vive e lavora in un paese a nord della città di Detroit. Purtroppo è affetto da una malattia—la psoriasi—che si manifesta con lesioni cutanee spesso associate (come nel suo caso) ad una artrite che nei casi più gravi può arrivare ad essere totalmente debilitante.

Fortunatamente per Jason, sia la pelle che le articolazioni stanno rispondendo benissimo ad una terapia a base di un nuovo farmaco biologico che però ha un effetto collaterale: la diminuzione delle risposte immunitarie.

Jason lavora in un cimitero dove, tra le altre cose, si occupa del tumulo delle salme.

“Dottore, lei conosce il mio lavoro e sa che ultimamente a causa del Corona virus è aumentato molto il numero dei decessi. Sono preoccupato: cosa mi consiglia di fare? Continuare questa terapia che sta funzionando così bene, ma allo stesso tempo mi rende più suscettibile al virus, oppure sospenderla in modo da rinforzare il mio sistema immunitario essenziale nella lotta contro questo dannato virus, e così rischiare un aggravamento dell’artite che potrebbe impedirmi di continuare il lavoro che e’ la mia unica fonte di sostentamento?”

Ecco il mio dilemma: interrompere la terapia e molto probabilmente assistere ad un aggravamento della malattia con tutte le conseguenze che ciò comporta, oppure continuare rischiando che il paziente si ammali di Corona virus e chissà cos’altro?

Magari prenderò spunto dalla Marionetta Valentina che dice che tutto è cambiato perchè… “c’è il virus” !!!

Di una cosa sono certo: Presto torneremo a passeggiare in riva al lago.

Davide Iacobelli

 


Aurora Fusco – Manager, sognatrice. Vive a Dublino in Irlanda

UNA NOTTE IN IRLANDA, di Aurora Fusco

Racconto di una domenica qualunque in Irlanda ai tempi dell’ emergenza Covid19.

Oggi mi sono svegliata per guardare l’orologio dopo un’altra notte passata a rigirarmi di continuo, grata per non aver avuto incubi, come mi succede da un pò di tempo. Ricordavo che durante il mio travagliato sonno c’era stato un concerto virtuale globale, e cosi accendo la memoria inconscia... le note di "My Prayer"cantata da Bocelli, Dion, Lady Gaga e John Legend danno il via alle mie lacrime, brucianti. L’ho ascoltata con animo diverso e questo, mentre scrivo, mi fa capire che tante cose saranno percepite in altri modi, cose scontate, gesti, sguardi.

In Irlanda si è aspettato fino alla metà di marzo prima di agire conto il virus. Non starò qui a scrivere se nel bene o nel male, d’altronde chi può essere realmente pronto a un travolgimento totale della vita? In inglese si dice "Life defining moments". Per alcuni il solco è stato più profondo e maggiore, indelebile, con la morte dei loro cari, per gli altri l’agonia di perdere il lavoro e le certezze della loro vita.

Dal principio il governo Irlandese ha adottato la linea soft, "cocoon" è la parola, per i più anziani. Questa parola cosi dolce, come il suo significato "avvolgere", è il modo per far capire che gli over 70 devono essere protetti. Ebbene io adesso la odio questa parola. Questo termine mi ha definita, anche se non rientro nella fascia d’età, ma altri in famiglia, sì. Mi ha definita nella libertà, privandomi della libertà di movimento, del mio lavoro, dei miei affetti. Capisco il motivo, ma il mio animo no. Vorrei coccolare i miei nipotini, uscire senza mascherina, ma sopratutto vorrei abbracciare la mia mamma, sola e lontana.

Qui noi Italiani soffriamo il trauma doppiamente, con il cuore infranto dalle immagini che trasmettono dall’Italia, unite a quelle che in modo minore affliggono l’Irlanda... I danni finanziari e le conseguenze saranno devastanti per tutti, porteremo per sempre il segno di questa tragedia.

Passare le giornate è un’impresa personale, fare mille volte gli stessi gesti, guardare l’ennesimo telegiornale, discutere sui social, impastare, impastare, impastare, cose che nessuno mangerà... anche questo è un grido di sofferenza, follia del Covid 19.

Interminabile, la nostra vita scandita da quel tic toc senza fine, che un giorno ci porterà a scrivere fine a questa triste esperienza.

LET THIS BE MY PRAYER

speriamo in un mondo senza più paura e pieno di speranza.

Aurora Fusco

 


Bruno Colucci – Manager, buongustaio, cuore napoletano. Vive a Parigi in Francia

DA PARIGI, di Bruno Colucci

Dal 13 di marzo, mi trovo confinato a casa, a Parigi (dove sono nato), in compagnia di mia moglie e mia figlia che fa telelavoro (odio la parola “smartworking” che in Italia viene considerata più «figa» da chi, spesso, non parla neppure inglese).

Devo ammettere che mi sento piuttosto privilegiato, perché la casa è spaziosa e dispone di un giardino. Per fortuna dall’inizio del blocco si gode anche un meteo clemente.

Purtroppo non per tutti è cosi. Sono consapevole che ci sono nuclei familiari di più persone confinatI in piccoli appartamenti. Immagino che la cosa debba essere molto pesante in queste condizioni, come succede nelle periferie francesi, spesso ghetti sovraffollati, da dove giungono notizie di violenze continue nei confronti delle forze dell’ordine che tentano di verificare la legittimità degli spostamenti.

Direi che fino a poco fa, le regole sono state seguite piuttosto seriamente dai francesi anche se, da pochi giorni, l’ambigua comunicazione dello stato, volontariamente ottimistica (e francamente non ce ne sarebbe motivo) tende a provocare frequenti violazioni delle regole.

Per tutta la mia vita, professionale e non, ho sempre fatto il pendolare Francia - Italia e tendo sempre a fare il paragone tra i due paesi. Pertanto, quando sono tornato il 13 Marzo da Napoli, avevo già l’esperienza di una settimana di confinamento in Italia.

Ne approfitto per salutare il fantastico comportamento civico dei napoletani, contrariamente a quanto vorrebbero insinuare i Media.

«L’esperienza» italiana si è poi rivelerà molto utile ai francesi, facendogli risparmiare errori e decessi…

Comunque sono salito a bordo dell’Alibus per Capodichino con autista provvisto di guanti e mascherina, il mezzo era gestito nel rispetto del distanziamento tra gli utenti. Pertanto sono stato molto sorpreso (per non dire preoccupato) nel vedere che né il personale di bordo dell’Air France, né i passeggeri indossavano guanti e mascherine e il volo era affollato. Ho pensato allora che era assurdo aver seguito seriamente le regole in Italia per poi rischiare di prendere il virus stupidamente già nel volo di rientro a Parigi. Stessa atmosfera irresponsabile all’arrivo a “Charles De Gaulle”, meno male mia moglie era venuta a prelevarmi e ho evitato i mezzi pubblici.

Tutto questo mentre i media francesi continuavano a far credere alla gente -come spesso succede- che da questa parte delle Alpi si era al riparo di tutto. L’Italia (in prima linea) veniva ufficialmente derisa e criticata nella sua gestione della pandemia e ampiamente definita come il paese untore del resto del mondo con una terribile comunicazione anti «made in Italy». Il seguito degli eventi ha dimostrato che il virus viaggia senza passaporto e che i francesi non si sono poi rivelati più bravi degli italiani, anzi ricordo che i primi casi di coronavirus erano stati  constatati proprio in Francia, mentre durante questo periodo in Germania si ordinavano massicciamente mascherine.

Evabbè ! tutto questo per dire che, finalmente il presidente Macron ha finito per annunciare il confinamento in Francia dal 17 marzo, avendo aspettato che si tenessero le elezioni comunali, nazionali, il 15 marzo, mandando milioni di francesi in giro a votare.

Notare che molti osservatori assicuravano che Macron avesse aspettato volontariamente perché tentato dall’immunità di gregge. Ripeto, tutte queste approssimazioni non hanno favorito l’immediato rispetto delle regole da parte dei francesi, parchi e centri città pieni di gente a spasso.

Alla fine, incredibilmente con 10 criminali giorni di ritardo e distacco, risulta che le curve italiane e francesi dei contagiati, vittime, si sovrappongono drammaticamente (siamo a 20000 decessi e quasi 6000 persone in terapia intensiva). La Francia che ci criticava non ha fatto meglio.

Molto paragonabili anche le disponibilità di posti negli ospedali, l’impossibilità di procurarsi guanti, gel e mascherine. Francia e Italia stanno pagando il risultato di scellerate politiche di  "austerity", a discapito della Sanità, dettate da fuori.

Non so in Italia ma, in Francia, il 40% delle vittime è deceduto nella solitudine nelle cosiddette "case di riposo per anziani" (EHPAD).

Stessa agghiacciante incompetenza della tecnocrazia dirigenziale e politica.

Stesso comportamento irresponsabile dei dirigenti:

  • Zingaretti aperitivo ai Navigli il 27/02
  • Macron al teatro con la signora lo 06/03
  • Stesso dramma umano
  • Stessi reparti ospedalieri al collasso
  • Stesso comportamento eroico dallo staff sanitario
  • Stessa presa di coscienza dell’importanza di quegli anonimi lavoratori, dei servizi, del commercio alimentare e farmaceutico, della logistica, delle forze dell’ordine, dei vigili del fuoco, dell’apparato sanitario che ci consentono di sopravvivere …

Come dicono a Napoli: CHIST’E !

Per concludere, siamo sempre senza medicinali, senza mascherine, senza gel, senza regole precise, senza vaccino, senza tamponi, senza test sierologici, ma stiamo parlando di sconfinamento progressivo, tipo « STOP and GO». Mediaticamente si sta sentendo di tutto e il contrario di tutto. In poche parole deve riprendere il business, altrimenti il rimedio (che non c’è) sarà peggiore del male?

Staremo a vedere! Dopo (o probabilmente con) il virus… urge lasciarsi contagiare dall’ottimismo !!!!!!!

Bruno Colucci

 


Nadia D’Angela -  Operatrice socio-sanitaria. Portoghese d’adozione

IMPRESSIONI DI UNA PORTOGHESE "QUASI ACQUISITA" SULLA SITUAZIONE COVID-19, di Nadia D'Angela

Lo so, il titolo è un po’ fuorviante, ma da buona italiana lascio un po’ di suspense all’inizio per poter spiegare meglio successivamente.
Ebbene sì: nata, cresciuta e pasciuta (come si suol dire) sull’italico suolo, sono stata conquistata dal Portogallo e dal suo splendido popolo, oltre che dalle bellezze naturali presenti un po’ ovunque nello Stato lusitano.
La cosiddetta saudade mi colpisce spesso e non potendo trascorrere tutto il tempo che vorrei direttamente li, cerco di tenermi informata e “collegata” in qualche modo frequentando un forum di espatriati oltre a varie pagine Facebook, sia quelle gestite da italiani residenti in Portogallo sia quelle ufficiali e istituzionali.

Situazione in generale

La situazione generale in Portogallo, per quanto riguarda il Covid-19, ha delle similitudini con quella italiana: ci sono zone molto colpite (Porto e Lisbona) e zone relativamente tranquille come l’Algarve; parlando di numeri, ad oggi, il Portogallo ha poco più di 24.000 casi confermati (di cui circa 15.000 nella zona di Porto, poco meno di 6.000 nella zona di Lisbona e poco più di 300 nella regione dell’Algarve) e circa 1000 morti in totale.
La differenza importante nel numero di contagi tra Porto e Lisbona sembra sia dovuta alla diversa natura economica delle due aree: Porto, la più colpita, è un’area più industriale (ha mostrato i primi casi positivi in pazienti che erano tornati da una fiera delle scarpe in Nord Italia); Lisbona invece è più orientata ai servizi, in particolare al turismo, e la bassa stagione ha certamente aiutato a contenere i contagi.
Parliamo di uno Stato che conta circa 10 milioni di abitanti per una superficie di poco oltre i 92 mila km quadrati, certamente numeri molto minori in confronto all’Italia; simile all’Italia è il dato che riguarda la popolazione anziana, infatti il 22% dei portoghesi ha un’età pari o superiore ai 65 anni (e il maggior numero di cittadini ultraottantenni in Europa, dopo Italia e Grecia, senza dimenticare che negli ultimi anni ha visto un forte afflusso di pensionati provenienti da altri Paesi, attratti dagli incentivi fiscali attuati nei loro confronti) ma ben diverso è il dato sulla mortalità da coronavirus che si attesta sul 3% circa (in Italia invece circa il 13%).
Molti fattori hanno determinato queste differenze sostanziali: tra i più importanti probabilmente il fatto che il coronavirus è arrivato con qualche settimana di ritardo in Portogallo in confronto agli altri Paesi europei, questo ha dato più tempo per monitorare la situazione e prepararsi a ciò che sarebbe successo.
Il Governo portoghese ha avuto modo di imparare dalle esperienze e dalle misure avviate dal resto d’Europa, in più ha intrapreso subito azioni mirate a contenere l’espandersi incontrollato dell’epidemia: un esempio su tutti è certamente la regolarizzazione degli immigrati per non lasciare nessuno fuori dal servizio sanitario, non solo per ragioni umanitarie, ma anche per una questione di sicurezza collettiva.
Altri fattori decisamente importanti sono stati una geografia propizia (confina solo con la Spagna), unità di intenti da parte della classe politica e autodisciplina della popolazione: secondo il premier portoghese Costa “I politici devono prendersi cura della popolazione, non far sì che i loro desideri prevalgano sulle raccomandazioni degli scienziati”, e le opposizioni sono state d’accordo offrendo da subito supporto al governo, come ha dichiarato Ricardo Baptista Leite “È il momento di collaborare, non di fare opposizione. In questo momento non ci confrontiamo con il governo socialista, ma con il governo del Portogallo”. Maturità politica (impensabile altrove) unita ad un’autodisciplina molto determinata del popolo portoghese, consapevole della fragilità del sistema sanitario fortemente provato dall’austerità del periodo 2010-2014, hanno fatto la differenza.

Impressioni personali

In questo contesto pandemico, che metterebbe a dura prova chiunque, mi rendo conto che tutto il mondo è paese e i miei conterranei in Portogallo, stando alle impressioni che traggo leggendo qua e la (da prendere quindi come opinioni personali e nulla di più), hanno reazioni diverse a seconda delle varie situazioni che possono presentarsi, come penso sia nella “normalità” che comporta una condizione che invece non ha nulla di normale.
Ad esempio c’è chi è rimasto bloccato in Portogallo, o viceversa in Italia, per l’improvvisa mancanza di voli e per le frontiere chiuse: molte persone hanno lasciato tanti affetti o interessi nel Paese d’origine e più o meno regolarmente fanno viaggi per questi motivi o per motivi di salute.
C’è chi è preoccupato per il futuro, chi non lo sarebbe?
Chi si pone domande del tipo: quando toneremo alla normalità? Che normalità avremo dopo? Quando avremo un vaccino? Come ne risentirà l’economia portoghese e che ripercussioni avrà su di noi?
Domande lecite, che si porrebbe chiunque.
Molti italiani in Portogallo si sono organizzati osservando le prescrizioni del governo italiano evitando quindi i contatti, stando in casa il più possibile, andando in luoghi non troppo frequentati per brevi passeggiate, usando i dpi ma anche qui combattendo un po’ contro lo sciacallaggio: la scarsità di prodotti quali mascherine, gel igienizzanti e guanti ha fatto lievitare i prezzi, come in Italia.
Fatta salva qualche situazione di “menefreghismo” (parlo di qualcuno riuscito a rientrare in Portogallo quando i voli non erano ancora del tutto chiusi e non ha rispettato la prescritta quarantena andando in giro tranquillamente, pur arrivando dalle nostre zone più colpite) la maggior parte degli italiani in Portogallo segue attentamente l’evolversi della situazione e scrupolosamente tutte le disposizioni delle autorità, ammazzando il tempo praticando hobby, leggendo e… Cucinando! Proprio come da noi.
Sono tutti consapevoli che il Paese che li ha accolti merita rispetto e gratitudine tanto che è stata messa in atto da qualche giorno una bellissima iniziativa meritevole di menzione: SOS-teniamo il Portogallo Emergenza Covid-19.
Sul sito - Pensionati italiani in Portogallo - si legge: “Il Portogallo ci ha accolto in modo caloroso, ci ha offerto una qualità di vita superiore alle nostre aspettative, ci ha trattato con rispetto non facendoci mai pesare la nostra presenza e talvolta la nostra invadenza”. Non ci ha mai chiesto di partecipare fattivamente alle incombenze di un qualsiasi cittadino, ci ha accolto come un padrone di casa benevolo che mette a disposizione tutto quello che ha per rendere il soggiorno dei suoi ospiti quanto più apprezzabile possibile. Anche in questo momento di difficoltà, dignitosamente come sempre non chiede nulla in cambio, ma noi possiamo sfruttare questa opportunità per dimostrare la dovuta riconoscenza e rispetto per il Portogallo e per tutti i portoghesi, perché noi non abbiamo trovato solo un’oasi fiscale in questo onesto Paese, ma soprattutto calore ed accoglienza. E’ bello poter dire GRAZIE ed è ancor più bello poterlo dimostrare nei fatti. “Facciamoci riconoscere per quello che realmente siamo e non per quello che dicono di noi”.
Con i soldi raccolti sono state già donate delle mascherine a un importante ospedale perché, anche lì come da noi, medici ed infermieri stanno lavorando senza le dovute misure di sicurezza, difficili da approvvigionare.

Una chiosa, sempre intesa come opinione personale, alle belle parole dedicate dai pensionati italiani al Portogallo sul loro sito, questo bellissimo Paese, nel complesso, offre una qualità di vita superiore a quella italiana sotto molto punti di vista: sicurezza personale, attenzione alle persone e alle loro esigenze, qualità dei servizi e soprattutto rispetto delle regole. E gli italiani in Portogallo apprezzano queste cose, più dei vantaggi fiscali, comportandosi di conseguenza, nonostante la nomea che si portano dietro (come ribadito proprio da loro).
E allora è questa, a mio avviso, la parte bella del sentirsi italiani, la cosa che dobbiamo esportare in tutto il mondo e con più forza nei Paesi che ci accolgono a braccia aperte: facciamoci (ri)conoscere per quello che facciamo, nonostante quello che si dice di noi!

 Fonti:

Nadia D'Angela

 


Philippe Brolet – Commercialista, atinista. Vive a Bruxelles in Belgio

RIFLESSIONI DAL BELGIO, di Philippe Brolet

Quella che era solo una piccola influenza è diventata una pandemia che ha destabilizzato il nostro mondo moderno. Sbarazzati delle guerre mondiali, del terrorismo e senza alcun extraterrestre in vista abbiamo detto che non ci poteva succedere nulla. Bene eccolo qui: Il Pangolino ha avuto la sua vendetta, o dovrei dire, la Cina?

Il Belgio si è preso cura di Covid 19 a dicembre come un parrocchiano nella sua prima maglietta. Pensavamo che la Cina, il paese di mezzo, vivendo ancora come nel Medioevo, fosse vittima della sua politica comunista, delle sue infrastrutture mediche insufficienti e di un livello di condizioni antigieniche come solo un ristorante cinese che serve cani potrebbe avere. Noi, un paese civile dell'Europa occidentale, ci saremmo sbarazzati dell'ultimo coronavirus in un colpo solo. Finalmente il grande vincitore è il paese di Mao. 10 giorni per costruire un ospedale con 2.000 posti letto. In Belgio ci vogliono 200 giorni per ottenere un permesso di costruzione.

Ma il Belgio era pronto, proclamò a gran voce un nostro ministro. "Abbiamo almeno 45 camere per ospitare pazienti con covdi19". Abbiamo visto il risultato. Alcuni hanno persino preso in giro l'Italia.

Il numero di morti pro capite è ora il più alto del mondo in Belgio. A meno che non siamo l'unico paese a utilizzare un abaco per contare? Molte morti nelle case di cura. Ovviamente. Quando il nonno tossisce o inizia a zoppicare, viene immediatamente messo in un ospizio. È più costoso ma c'è meno seccatura.Questo è il frutto di una società di successo. L'essere umano è uno strumento di consumo. Quando è obsoleto lo buttiamo via, lo dimentichiamo.

Il vecchio non si ribella, il vecchio non fa rumore. Ecco perché non aveva accesso a cure decenti. E l'amore in tutto questo? L'amore non riporta nulla allo stato. È una sensazione economicamente poco interessante. 

La nostra scorta di milioni di maschere era obsoleta, inutilizzabile. Semplicemente buona per il Carnevale. Abbiamo dovuto chiederle in Cina, perché in Belgio, a parte la materia grigia, non produciamo più nulla. Dipendiamo dai signori della Cina. 

Parliamo un po' di disciplina. Abbiamo avuto tanta libertà dalla rivoluzione industriale che non possiamo più seguire semplici regole."Restare a casa" in Belgio significa invitare gli amici a fare un barbecue, visitare il vicino per un aperitivo e accompagnare un amico a fare una passeggiata nella foresta. Fu solo il numero di morti che riportò i nostri cittadini alla realtà del momento; per un momento. Il risultato lo sappiamo. Disoccupazione tecnica, un declino monumentale, un mondo fermo.
Chi pagherà per questo? Noi, il contribuente. Il paese si indebiterà per generazioni ed è, sì…  sì…, la Cina che presterà denaro all'Occidente. Per una famiglia della classe media il blocco è gestibile. Ma quante classi medie abbiamo ancora nella nostra società? E i più poveri, i lavoratori autonomi, i lavoratori di colore?

A casa passiamo il tempo. Fortunatamente c'è internet e grazie a Dio siamo in primavera. I miei figli sono impegnati nel giardinaggio? No, il tablet e il computer sono i farmaci. Un po' per seguire corsi online e molto per giocare senza fare nulla sui social network. Il nuovo materiale sta diventando scarso. Un anno di perdita è all'orizzonte. Ovviamente non corriamo rischi con la salute dei nostri figli e di quelli a noi vicini e la scuola è al secondo posto. Siamo ora nella fase di deconfinamento. Un po' come le montagne russe che scenderanno prima di salire a tutta velocità, perché il virus è sempre presente. Siamo diretti a un blocco, seguito da un altro blocco e così via.

Ma soprattutto il nostro mondo cambierà, cambieranno il modo di viaggiare, di muoversi. Ogni piccola gara diventa un viaggio. Niente più cinema, niente più concerti. Mio Dio, non più vacanze ad Atina? Se dovesse essere così, in quel caso ce l’avrò con i Cinesi per tutta la vita, oppure con il pangolino, non so più…

Philippe Brolet

 


Anne Pia  - Scrittrice, ambientalista, nonna. Vive a Edimburgo  in Scozia

NOTE "CORONAVIRUS" ALEGGIANO SULLA STESURA DEL MIO ULTIMO LIBRO, di Anne Pia

Il mio ”lockdown” è stato graduale e progressivo. Poco dopo che cominciassi a correggere questo libro, il coronavirus ha accelerato il suo passo in Inghilterra. Avevamo già visto gli orrori di quello che ci aspettava in Cina, in Spagna, in Italia. Mentre sto scrivendo queste immagini si susseguono sugli schermi dei nostri televisori.

Ci dicono della rapida sepoltura dei cadaveri, senza testimoni per evitare lo spargersi del contagio, e mi sovviene la lettura ai tempi dell’Università della Peste di Camus e del salace Decamerone di Boccaccio, scritto nel XIV sec. Quando la “peste nera” sterminava la popolazione italiana. Un gruppo di uomini e donne si appartarono nel contado fuori delle mura fiorentine e si raccontarono Storie per dieci giorni.

Ma la primavera non è qui ancora e sarebbe freddo sulla collina fuori città. Suppongo di dover essere grata ai ratti di fogna annunciatori !! Cammino per il centro deserto della città. Le nostre strade erano più strette silenziose e grigie, data l’assenza di gente e macchine. Quei bei palazzi neoclassici di Edimburgo, belli una volta, ora incombono. L’architettura Playfair- Adam, mi sgomenta, mi ricorda la “Città Santa”e sembra presagisca che anch’io sia tra i prescelti. Sono condannata a morte! Domani mattina mi sveglierò con febbre e tosse secca, come vetro incrinato.

Esco fuori per una boccata d’ossigeno, un’oretta ogni giorno faccio il giro del parco locale tre volte. 

Cambio l’ora in cui esco, non è che non posso, ma non voglio dormire per paura del giorno che verrà. Ho preso ad ascoltare i quartetti per corde di Haidyn. Offrono forma e struttura. La forma classica è familiare e rassicurante. La scorsa notte ho provato ad ascoltare qualcosa di nuovo: Arvo Part. L’ho trovato troppo impegnativo, troppo inquietante, perché l’unica cosa che riuscivo a visualizzare era me stessa che camminava in uno spazio bianco, ho smesso di ascoltare dopo due minuti. Prima di avventurarmi per la strada alberata, dove vivo, con maschera e guanti, mi predispongo ad un possibile incontro con la morte, un incontro surreale con un passante che potrebbe risultare letale per ciascuno di noi. Nessuno sorride, ci temiamo a vicenda. Rabbrividisco al racconto giornaliero di quelli che lavorano negli ospedali riguardo alla tanta gente che muore sola, nessuna manifestazione dell’amore naturale che solo madre e figlia possiedono, nessuna mia ragazza, il cui odore confortante è così familiare, per tenerti la mano mentre ansimi per un ultimo respiro che ti tenga in vita solo qualche minuto in più.

Nessun sussurro prima che i filamenti dell’ombelico che dopo tutti questi anni ti uniscono siano finalmente recisi. E ho così compreso solo recentemente che starsene al sicuro è l’unica possibilità per ritornare a vedere i miei figli.  E’ per questo che persevero.  Questo genocidio causato da un capriccio della natura, così ci viene detto, è quello che stiamo attraversando. Una maledizione per i più vulnerabili, per i più deboli.   

Ci domandiamo il perché del momento e dei suoi motivi politici. Ci domandiamo chi è vulnerabile e in base a quali criteri, perché come un astuto assassino questo virus è volatile, imprevedibile, che cambia il suo “modus operandi” mentre si sparge per il globo.

Queste sono cose da chiarire per la storia futura. Non ci sono risposte e noi non siamo preparati per il presente olocausto. Nel frattempo sto terminando la stesura del mio libro, non sapendo se sarà mai letto. Quale mondo lo accoglierà e se io, o quelli che amo, sopravvivremo per goderci la soddisfazione e il trionfo della sua pubblicazione. In molti dei suoi capitoli ho descritto la mancanza di solidità e in permanenza di tutto l’universo inclusi noi stessi.  Il cambiamento e lo spostamento nei nostri mondi materiali e spirituali, emotivi e psicologici sono stati il ​​tema principale di tutto.

Appena un mese fa, ma sembrano secoli, c’era consistenza. Tutto sembrava prevedibile, persino il cambiamento e il futuro. Si potevano definire. C’era attesa, gli esperti facevano previsioni ed alcuni di noi osavano immaginare. Ma alcuni giorni dopo in questo nuovo sconosciuto habitat, dove è svanito tutto quello che si sapeva e che si dava per scontato, lasciando il minimo necessario, mi pare, se mi metto a pensare che l’intero firmamento possa collassare. Così mi sono rinchiusa nel guscio. La veduta dalla mia finestra è sempre la stessa.

Il parco è sempre li. Rimango in contatto con il mondo di fuori, con i miei mezzi di comunicazione. Su di essi ho una certa forma di controllo. Evito i social-media e li cancello rifiutandomi di ascoltare gli ultimi aggiornamenti sul numero dei morti, nessun desiderio di sentir dire che la situazione peggiorerà. Conosco il peggio e qualora accadesse ne verrei a conoscenza in ogni caso. In questo scenario spopolato la corteccia dell’albero delle mie sensibilità è divenuta più sottile, solo un lieve strato, ora che parlo più facilmente e spontaneamente di amore, non solo verso la famiglia ma anche verso gli amici.

Saluto gli estranei, sorrido ai bambini e ai cani. La distanza tra i due estremi della mia gamma emotiva si è accorciata. Il mio IO mostra crepe, la voce piangente, le mie gote bagnate di pianto senza alcun preavviso. Non ci sono sintomi precursori nel mio stomaco o nei polsi. A prescindere dalle irritazioni che mi causano quelli che ignorano il distanziamento sociale, facendomi finire nell’acqua, quando cammino sulla spiaggia o sulla strada quando cammino sul marciapiede. Mi pare di amare con più libertà e generosità. Al momento credo di amare tutti. Ognuno mi è caro e ogni incontro prezioso. Agli estranei che si fermano a chiacchierare concedo la mia piena attenzione. Mi sento arricchita. E mentre il virus puntava verso le nostre spiagge e si stava attuando il rapido “lockdown” per arrestarlo o perlomeno rallentarlo.

Sopraggiunsero altre notizie. Una cauta presenza. Spazio tra i titoli, altra maniera di reportage. Gloriosa rinascita. Indizi preziosi. Per favore datecene ancora. Aria più pulita, il ritorno del cielo blu, l’acqua limpida, inquinamento ridotto. Le drastiche misure per controllare la pandemia hanno avuto un effetto persino più grande sull’altra tragedia del riscaldamento globale e sulle sue conseguenze devastanti. Di fronte ad una scelta difficile ed immediata un piccolo prezzo da pagare per la nostra vita e quelli che amiamo, volontariamente siamo tornati al minimo necessario, accettando limitazioni, ci siamo fatti rinchiudere nello steccato. Osserviamo come il mondo della natura con quella irrefrenabile energia che è la sua essenza, dia inizio a un tentativo di un processo di rinnovamento. Già da tempo molti di noi nutrivano lo scomodo presentimento che il mondo fosse sull’orlo di eventi completamente fuori controllo, che fosse necessario una specie di risveglio, che ci fosse bisogno di ricostruire la nostra società, le nostre istituzioni su fondamenta solide. C’era il bisogno urgente di riconsiderare lo scopo dell’esistenza umana e di noi stessi. L’isteria collettiva, l’egoismo, la fame, il contrapporsi degli uomini erano troppo istituzionalizzati ed endemici. L’ondata del “trumpismo” e di quelli come lui sparsi nel mondo era troppo forte e difficile da contenere…..non ci rimane che ricorrere al supermercato, disinfettare i tram, tenere l’ordine delle file. In migliaia sono tornati in servizio nel sistema ospedaliero, dove dottori e infermieri rischiano la loro vita per accudire malati e morenti, lo fanno perché vogliono aiutare secondo le loro capacità. Si formano associazioni locali per stare in contatto con quelli che non possono uscire di casa. Si chiama per telefono e si conversa con tutti quelli che da settimane sono rimasti isolati. Si stabiliscono contatti importanti con parole, con l’ascolto, magari raccontando barzellette a gente che non conoscevamo. Prendiamo insieme un caffè, incontriamoci quando tutto è passato, quando saremo dall’altro lato. Vediamo in maniera più chiara quello che ci unisce piuttosto che le nostre differenze. Ci comportiamo in modo gentile, compassionevole, caritatevole con quelli d’intorno del vicinato, nelle strade, nei negozi. Diciamo grazie di cuori, sì veramente ! per lo più mostriamo quello che siamo dentro, palesiamo la nostra umanità. Andiamo avanti convinti della solidarietà, con fede sicura nella nostra sopravvivenza come individui e l’aspirazione per la nostra società di essere e diventare migliore. Non avremmo voluto questo virus e questo cambiamento repentino delle nostre vite. Non volevamo né tragedie né paure, niente sarà più come prima.                                     

Potremmo forse rispondere al richiamo di quelle voci solitarie, che come individui cambiati, ci porteranno a riconsiderare il capitalismo, i cambiamenti, la polemica, a costruire un nuovo corso. In ogni caso domani ci riprenderemo e riaffermeremo la nostra libertà di scegliere e di permettere all'energia della natura di rinnovarsi nel grembo di madre terra e di noi stessi.

Anne Pia

 


Franco Pozzuoli – Esperto di cavalli da corsa –fumatore accanito. Vive a Toronto  in Canada

DAL CANADA 09.05.2020, di Franco Pozzuoli

Era già nell’aria da qualche giorno, poi il primo ministro parlando davanti alla sua residenza disse che ci sarebbe stato il “lock down”. Disse anche che avrebbe stanziato diversi miliardi (qui li chiamano bilioni) di dollari per supportare l’economia e i cittadini, di rispettare le regole che sarebbero state imposte e di non preoccuparsi eccessivamente, tanto si poggia su basi solide. Tutto bene! Decisi di affrontare la situazione con stoica determinazione. Se nonché nei giorni seguenti dovetti constatare che non potevo più prendere il caffè espresso nel mio bar preferito, niente più scommesse ai cavalli perché questi non correvano più, e niente più “scala quaranta“ dopo cena perché il locale dove ci riunivamo era serrato.

Allora  quella lieve angustia che mi serpeggiava nel petto prese a salire. E già, perché questo malessere era cominciato un paio di settimane prima, quando Ivan il croato cominciò a venirmi intorno mostrandomi il suo telefonino nella sala scommesse: i flash d’agenzia riportavano “In Italia 74 casi di coronavirus” e man mano che i giorni passavano, oggi 156, oggi 380….”. Come se ciò non bastasse ci si aggiunse pure mia figlia, che chiamandomi da Singapore mi diceva: “Papà, ma che sta succedendo in Italia? non sono capaci…”

Capivo benissimo quello che Ivan i croato e mia figlia volevano dirmi. L’Italia era stata eletta dal coronavirus, e noi per qualche congenita tara ereditaria non eravamo in grado di respingere le sue “avances”. Stavamo diventando lo zimbello del mondo. Ora voi dovete saper che nonostante risieda  qui da più di cinquantanni, tutte le volte che mi toccano la mia “Italietta” gonfio il petto e mi dispongo a difenderla a “viso aperto”. Allora mi misi ad ascoltare tutti i telegiornali e a consultare internet. Passò qualche giorno ma poi la Spagna, il povero Belgio, persino la Francia uscirono dal gruppo  e incominciarono ad inseguire. Ci volle qualche giorno ancora ed alfine il Regno di Boris e gli Stati di Donald si sganciarono ed in testa si formò un bel drappello. Fu allora che mi dissi che la giustizia in questo mondo esiste ancora e la mia angustia si alleviò un po’. Rimaneva il problema di come affrontare questi giorni interminabili, in cui uno a meno che non consulti attentamente il calendario perdi la cognizione del tempo e dei giorni che passano. Si decise insieme alla mia compagna per una “routine programmata”. Lei si alza quando vuole, io a mezzogiorno. Si fa colazione, si ascoltano i telegiornali. Quindi si esce per una camminata. Qui di spazio ce n’è  tanto e si può andare anche lontano da casa. Non c’è pericolo di assembramento perché la gente che cammina è poca, e quando ci si incontra ci si evita come si avesse reciprocamente la lebbra (sic). Al ritorno la massima cura viene dedicata alla preparazione del pranzo. Confesso che la mia abilità culinaria sta migliorando di giorno in giorno. E’ arrivato il momento del telegiornale della sera e quindi l’inevitabile seduta davanti a Netflix. Fra le tante cianfrusaglie che qui s’incontrano posso suggerire un paio di perle del cinema francese  “Choriste”. E’ arrivata l’una di notte e la mia compagan se ne va a letto mentre io mi ritiro in tutt’altro quartiere. E qui cominciano i veri tormenti, perché io da quaranta anni a questa parte non riesco a prendere sonno prima delle cinque del mattino. Ho provato a risolvere qualche “sudoku”, a leggere qualche pagina di un libro preso a caso, ma le cinque tardano ad arrivare. Allora mi sono detto che bisognava cambiare tattica: dovevo affidare la speranza di assopirmi all’analisi di argomenti di fisica.  Ho ponderato se il gatto di Schrödinger rinchiuso nella scatola fosse vivo o morto, lo spazio Calabi-tan avesse dieci o tredici dimensioni, se bisognasse anteporre essenza ad esistenza, ma tutto l’impegno di elaborazione mentale non è valso a nulla perché i neuroni del mio cervello si sono rifiutati di funzionare, ed ho continuato ad agitarmi nel letto sino alle cinque. Qualche informazione sui Covid 19 qui da noi non è che non attecchisce, i suoi morti li sta facendo pur bene, è che sembra mostrarsi più benevolo che altrove, eccezione fatta per quei vegliardi che sono stati depositati nelle case di riposo in attesa della morte. La morte per tanti, per troppi di loro arriva prematura. I fondi pensionistici che di questi tempi devono essere in crisi ovunque, vista la severa congiuntura economica, sembrano vogliano sfoltire il numero delle utenze. Ad ogni modo la curva si sta appiattendo ! a proposito di curva, non vi sembra che il povero Cartesio si stia rigirando nella tomba visto l’uso spropositato che si fa delle sue coordinate, per terminare prendo lo spunto dalle parole di papa Francesco, per una riflessione geniale. Di questi giorni si è visto spesso in televisione, come pregasse Dio affinché guidi la mano dei “sovrani” e l’azione degli uomini a liberarci da questo flagello. Allora mi sono detto: “Perché mai dovrebbe farlo? Perché contraddire la sua volontà? Non è stato forse lui a mandarcelo? Qualche predicatore domenicano, senza eccedere nel sofismo non avrebbe nessuna difficoltà a dimostrare che ce lo siamo guadagnato.

Franco Pozzuoli

 

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