Antonio  insegue ed ama Benedetta. Entrambi vivono nelle campagne di Casalvieri. Nasce una bimba che sarà chiamata Gelsomina. Prima che la bimba venga al mondo Antonio parte per l’America. Promette e giura che presto porterà Benedetta con sé. La dura vita nei campi, gli sguardi ambigui di condanna sociale del vicinato, la custodia dei vecchi genitori  rendono spasmodica in Benedetta l’attesa che la promessa si  realizzi. 

Ogni lettera dall’America è un giorno di luce e  su quella promessa Benedetta conduce i suoi complessi giorni. Passano i mesi, passano gli anni e i contatti con Antonio prima rallentano e poi svaniscono. Antonio  è stato definitivamente  inghiottito dall’America. Benedetta trasforma in rabbia gli spasmi, per ciò che poteva essere e non è stato. Anche  Gelsomina diventa causa de rimpianti di  Benedetta, alimentando di rancore i loro futuri rapporti . Giovanni, un rassicurante giovanotto che vive in Francia, s’innamora di Gelsomina diventata  giovane. Benedetta decide di non farsi sfuggire la figlia che raggiunge Giovanni in Francia.

Per favorire una maggiore concentrazione,  una più viva tensione nella lettura di un testo, è opportuno non “interferire” con foto, note e quant’altro intralci il ritmo della lettura stessa. Il dialogo è proposto nella versione dell’autrice.

Valcomino SenzaConfini

GELSOMINA E BENEDETTA di Barbara Mollicone

GELSOMINA 

Io non so davvero come mai mi abbia dato il nome di un fiore. Eppure mi tratta né più né meno di una delle nostre caprette, e se faccio qualcosa di sbagliato, ogni tanto, m’allunga pure uno schiaffone. Se mi vuole bene non saprei proprio dirlo, ha sempre gli occhi torvi, e si arrabbia con tutti quanti. Non m’ha dato una carezza, mai. Io non so come sono le carezze della mia mamma, e nemmeno quelle del mio papà. Il mio papà sta in America, ci è andato per lavorare, ma un giorno tornerà, ne sono sicura, oppure ci manderà i soldi per comprare i biglietti e prendere anche noi la nave e stare finalmente insieme, in una casa come si deve, perché qui, a Casalvieri, fa sempre freddo e dentro casa non abbiamo nemmeno l'acqua per lavarci.

Tata Loreto e Mamma Iuccia invece sì. Non hanno l'acqua dentro casa ma una bella fontanella vicino all'uscio, chè quando hanno bisogno basta aprire la porta e si lavano la faccia, i piedi, le mani, qualche volta, penso, persino i capelli. Mia madre non fa mancare mai nulla ai suoi genitori. Persino il riso e la farina, che noi spesso non abbiamo che in piccoli pugni, per loro ci sono sempre.

Sono vecchi,dice mamma, hanno bisogno di assistenza. Però secondo me di forza ne hanno ancora: mamma Iuccia tante volte quasi riesce ad afferrarmi per i capelli quando mi rincorre per menarmi; tata Loreto, non ne parliamo, oltre ad avere braccia lunghe e forti ha pure una buona vista, ancora. Solo qualche giorno fa mi ha centrato la fronte con una pietra, tutto soddisfatto per avermi presa perchè avevo lasciato le capre da sole a pascolare ed ero tornata sulla via di casa. Ma avevo fame! la sera prima mi avevano lasciato solo due mestoli di pane cotto, lo stomaco brontolava. Allora mi sono avviata verso casa per chiedere un tozzo di pane, poi comunque dalle caprette ci sarei tornata, mica no!

 Ma lui mi ha vista e senza nemmeno parlare ha preso una pietra e....baaam! in piena fronte. Che dolore, e quanto sangue che mi colava dalla testa giù verso il collo a macchiarmi l'unica vestina che possiedo. Non ho provato neanche a schivarlo, è stato proprio un gesto inaspettato. E lui, tata Loreto, è rimasto fermo, m'ha guardato per qualche secondo, poi ha rimesso la mano in saccoccia e se n'è andato. Sono tornata così a casa, piangente e tutta sporca....mamma mi ha dato il resto (delle mazzate) perché ormai la vestina è solo da buttare, tutta piena di sangue.

Comunque dopo un po' non ho più pensato alle botte che mi ero buscata perchè ho trovato una sorpresa, a casa: è arrivata una sua lettera, la lettera del mio papà.

 L’ha portata il postino. Mamma l’ha visto arrivare e non gli ha dato nemmeno il tempo di bussare, ha allungato la mano verso quella busta biancastra, come se sapesse già che era una lettera di papà. Poi l'ha scartata e ha iniziato a leggere. Beh, non proprio a leggere perchè mamma a scuola non ci è andata. Ha chiamato una vicina, una signora che ha fatto la terza elementare, e questa piano piano, con lunghe pause tra una parola e l'altra, ha letto.

 Papà mio si chiama Antonio Iacobelli, è partito per l’America quando ero ancora in fasce, perchè è andato a cercare lavoro. Più di questo mamma non mi ha mai detto, però ogni tanto mi guarda con gli occhi rossi di rabbia e mi dice che per colpa mia, che ero troppo piccina, lei non è potuta partire. Io resto zitta e non so cosa fare, mi dispiace molto sapere che mamma è rimasta a casa solo pa causa mia. Qualche volta ho provato a domandare perchè non siamo partiti tutti insieme, ma lei mi ha riso in faccia e non ha risposto. Non ha risposto mai.

Mio padre scrive poco perché a scuola non ci è andato nemmeno lui e ha imparato a scrivere come poteva. Sarà per questo che non è mai preciso nel dire dove si trova e che lavoro fa. Però tutte le sue lettere si concludono così: “un bacio alla mia bella bambina”. Io aspetto quel bacio sulle lettere come se me lo stesse dando davvero, il mio papà. Povero, non lo sa che sono brutta, io, e sempre sporca, e magra magra. Chissà se me lo darebbe ugualmente, quel bacetto.

 Lo dice sempre mamma che io sono brutta, e nera nera, perché ho i capelli scuri e pure la pelle. Con tutto il sole che prendo quando porto le caprette a pascolare! Mamma dice pure che sono brutta perchè ho preso dalla famiglia di mio padre, e allora non ci capisco più niente perchè sono proprio tanti tra fratelli e sorelle. Non saprei a chi di loro somiglio davvero, allora una volta ho provato a chiederlo a mamma. Ha risposto che non le importava e che me ne sarei dovuta andare a vivere con i parenti di mio padre, invece che dar noie a lei. Mi ha detto così ed io ho sentito un gran dispiacere, una specie di smarrimento. Come quando, certe volte, mentre porto le caprette al pascolo, finisco col perdermi e mi pare di nonj trovare piùla strada di casa.

 Mamma non parla mai quando riceve le lettere di mio padre, ma io so che è contenta perché quando arriva la posta è più tranquilla e non si arrabbia per tutta la giornata. Anche io sono contenta che il mio papà mi ha mandato un bacetto. Caro papà mio, un giorno, quando avremo abbastanza denaro, prenderemo la nave per l’America anche noi, e allora finalmente potremo stringerci forte forte come non abbiamo potuto fare mai.”

BENEDETTA

“Ho fatto male a farlo partire da solo. Dovevo seguirlo in America, dovevo seguirlo anche con la bambina, chè tanto lei aveva solo bisogno di essere allattata. Dovevo seguire mio marito. Invece sono qui, a fare a cazzotti con la miseria, a sfamare la nostra bambina da sola. A proteggere me e lei da tutto il mondo, dagli sguardi di quegli assatanati che mi vorrebbero saltare addosso, e che mi dicono che Antonio ormai mi ha dimenticata, che non tornerà più a prenderci,  che resterà in America senza di noi.  Ma non lo sanno che io prendo la roncola e gli faccio ricordare chi è Benedetta Iannucci. Li rincorro per tutto il Tracciolino, li porto urlando fino a Roccasecca, se toccano me. O se toccano la mia bambina.

Gelsomina, povera creatura, non prende mai un bacio, una carezza, non sa cos’è l’amore. Chissà se lo capisci che mamma ti vuole bene, mamma ti vuole sempre sapere bene, ti vuole proteggere ma deve insegnarti pure, visto che siamo solo noi due, a essere forte, a non avere paura di niente. Io non conosco la paura, se non la paura di perdere la mia bambina, per questo mi faccio coraggio e affronto la vita notte e giorno. Per questo ho accettato di fare il lavoro che era di mio fratello, prima che partisse in America anche lui. Il tassì a cavallo faccio. Odiavo i cavalli, così alti e sensibili. Così attenti. Sentono tutto, quei disgraziati. Se sono nervosa, se ho fretta. Sentono persino le poche volte che sono più tranquilla.

 Ah, se non ci fosse stata…se non fosse nata, la mia Gelsomina, a quest’ora starei in America a fare la signora. Chissà. Però Antonio non me la racconta giusta. Perché non mi scrive dove lavora, perché non mi scrive un indirizzo, una strada, una città di quel mondo immenso e lontano, dove io possa immaginarlo, pensarlo indaffarato, rivederlo con l’immaginazione.

Basta...basta, adesso troppi pensieri, io devo lavorare, devo lavorare per la mia famiglia. La mia piccola famiglia. I miei genitori e la bambina. Tanto Antonio non tornerà, non è capace di far soldi abbastanza, e io non lo raggiungerò mai perchè lo so che infondo è un buono a nulla e di lavorare non ha voglia, nè sa fare i mestieri come si deve. Se devo andare in America a fare la fame, me ne resto qui, nella nostra miseria che conosco bene e dove mi sento sempre sicura.

 

GELSOMINA

Mamma è nera, furiosa, nervosa più di sempre. Non parla, non mi dice nulla, capisco solo che devo filare. Quando è l’ora di portare le caprette a pascolare non me lo faccio dire due volte: le prendo a “capezza”, quelle tre disgraziate, e le trascino sulla montagna. Belano disperate, perché io ho imparato bene la strada e sulle pietre salto come una lepre. Loro si fermano a brucare ma io non gli do tempo fino a che non arriviamo fin sulla cima. Poi ci fermiamo, e non le perdo mai d’occhio. Una di loro, la più ribelle, l’ho chiamata Peppa Peppa, mi voleva scappare. Le ho dato un calcio che l’ho fatta zoppicare, adesso mi guarda come se volesse sfidarmi.

Fa freddo. Anche se corro, cammino, ho il fiatone, sento lo stesso tanto freddo. Ieri l'altro ha nevicato e in alcuni punti della montagna, dove il sole non batte mai, si vedono ancora le zolle di ghiaccio e neve. Ma la strada è comunque tutta ricoperta di brina che mi gela i piedi. Non ho ancora nemmeno un paio di scarpe. Mamma mi ha promesso che appena possibile le compra anche per me. S' è proprio stancata di sentirmi ripetere che ho i piedi gelati. Loro per fortuna hanno risolto: mamma ha trovato di certe scarpe quasi nuove per tata Loreto e un paio di pantofole di lana per Mamma Iuccia: stavano in una casetta dove ora non vive più nessuno, i proprietari sono morti e i figli vivono lontano. Perciò le scarpe dei defunti non è venuto a prenderle nessuno. Mamma ha detto che non si arrabbieranno, perché i figli di soldi ne hanno fatti a palate da quando sono andati lontano a lavorare, e le scarpe se le possono comprare pure nuove. Meglio così. Anche lei ha trovato delle scarpe buone per andare a cavallo, così non deve più stare attenta a dove mettere i piedi quando va in giro di notte a portare i viaggiatori.

Per me non c'è stato nulla, non posso mettere le scarpe così grandi e poi mi fa schifo pensare che ho ai piedi quelle di un morto. Comunque a camminare sulla neve e sul gelo mi sono quasi abituata, non sento quasi più nulla, le dita a un certo punto si addormentano. E poi ho trovato il modo di scaldarmi un poco, quando proprio non ce la faccio più e mi bruciano i talloni dal gelo: mi apparto dietro qualche vecchio tronco e faccio la pipì... me la faccio scorrere bene bene sulle gambe e fino ai piedi. Un sollievo... e finalmente arriva un po' di calore.

 Dopo che ho urinato mi siedo su una grossa pietra a guardare le caprette, che comunque trovano poco o niente da mangiare. Mi siedo e resto per un po' senza fare niente: guardo le montagne e mi chiedo quanto possa essere lontana l’America.

Vorrei incamminarmi un giorno, lasciare queste bestie, andare a vedere cosa c’è oltre la montagna. Vorrei camminare senza fermarmi mai e arrivare in America dal mio papà. Lui mi comprerebbe un paio di scarpe, e di sicuro anche qualcosa da mangiare! Mi darebbe baci invece delle mazzate, mi vorrebbe bene.

Ma non ha più scritto, il mio papà. Sono passati sei mesi dall’ultima lettera. Il postino è venuto qualche volta qui a Plauto. Ha lasciato lettere ai vicini, a Tata Loreto. A mamma niente. Lui gliel’ha detto qualche volta ridendo, “Nn ce sta nient, Bneè.” , ma un giorno mamma gli ha fatto uno sguardo così arrabbiato che da allora non dice più nulla, passa dritto e nemmeno alza la testa. Si vergogna perché ha avuto paura.

Mamma non sa perché non arrivano più lettere. Forse papà ha troppo da lavorare, forse ha trovato dei padroni severi che non lo fanno riposare nemmeno un minuto per scrivere alla famiglia, o forse non sta bene, sta in ospedale e non può spedire lettere.

Come vorrei ricevere ancora un bacio dal mio papà. Mi sentirei più contenta, anche se è solo una lettera, e pure mamma. Scommetto che per qualche giorno non mi picchierebbe nemmeno più.

 

BENEDETTA

Che fossi rimasta sola lo sapevo da un pezzo. L’ho capito da quando s’è imbarcato a Napoli, con suo padre e suo fratello. L'ho capito quando sono rimasta incinta e mi ha guardato con soddisfazione, come se avesse portato a termine un'opera, sapendo che era merito suo. Mi ha sposata in fretta e furia, anche perché senò mio padre lo avrebbe ammazzato, e tanto sapeva bene di dover partire, che d'ora in avanti non sarei stata più affar suo.

 Mentre mi salutava, al porto, era tutto spaesato, e non sapeva cosa dirmi, se addio o arrivederci. E quando la nave stava salpando, ho sentito un colpo allo stomaco. Era una fitta sorda, al centro della pancia, che in un attimo mi ha fatto venire i brividi e ha azzittito tutta la caciara che avvertivo intorno a me fino a poco prima.

Ho conosciuto la solitudine, per la prima volta. E mi sono sentita piccola, insignificante, di fronte a tutto quell'andirivieni, e al mare, così immenso, che avrebbe condotto Antonio in un un'altra terra.

 Il suo lo aveva fatto: mi aveva sposata, in un giorno di novembre, davanti al sindaco e davanti a mio padre. Mi aveva regalato il suo nome, tolto dal disonore e dalla vergogna di quella pancia che per mesi avevo tenuto ben nascosta alla gente del paese. Adesso salpava, se ne stava già lavando le mani. Ma io non dimentico, e ho guardato bene la sua faccia: pensava di vedermi impaurita, invece non avrà mai questa soddisfazione. Pure questa. Io sono, e sarò sempre, fiera.

Ora qui dovevo pensare a tutto io. Ma non riuscivo mai a chetare dentro di me la speranza di riunire la famiglia. Un pensiero così stupido, senza capo né coda. Forse m'è venuto guardando i miei genitori, che la sera vanno ancora ad accucciarsi insieme e insieme hanno faticato tutta la vita per noi figli. Forse m'è venuto quando Nenetta ha detto che tra tre mesi va in sposa a Peppuccio, che lui ha trovato un buon posto alle Ferrovie e andrà a lavorare alla stazione di Roccasecca.

Fatto sta che certe sere prima di coricarmi, mi viene da pensare: spero di vederlo tornare, Antonio, o spero che ci aiuti a partire. Mo mi manda qualche soldo, ho creduto per tanto tempo. Mi manda qualche soldo e li mettiamo da parte per il viaggio. Invece niente. Ha scritto di trovare solo lavoretti da poco conto, niente di fisso, solo qualche cosa da fare ogni tanto. Un giorno il manovale, un giorno a pittare, un giorno il cuoco dell'ospedale.

Ho capito presto che sul suo aiuto, almeno per qualche anno, non potevamo contare. Che anche se mandava i baci per lettera alla bambina, non aveva intenzione di prendersi in carico la famiglia. Però sempre meglio quelle lettere scarne di questo silenzio. Non so più nulla, adesso. Non mi ha scritto più niente, non ho sue notizie nemmeno dal padre. Dice che di Antonio ha perso ogni traccia, mi ha scritto una volta per telegramma, non sa nemmeno più se sta ancora in America.

Dove sta mio marito ?

E poi c'è la bambina, con quella faccia senza espressioni, i piedini cotti dal freddo. Ogni giorno aspetta la posta. E la posta non arriva più. Mi sono fatta mille pensieri. Forse ha trovato un’altra donna, si farà una nuova famiglia in America e da noi non verrà mai più. Che stupidaggini, non sarebbe tornato comunque, ma io non sopporto di dover dare tante spiegazioni a chi mi chiede continuamente di lui. E Antonio? Che scrive Antonio? Chiedono. E tu, quando lo raggiungi? Ma vi manda qualche soldo? Antonio, Antonio... ma chi lo conosce Antonio! Era solo un farabutto che sperava di divertirsi a poco prezzo. E invece mi ha messa incinta, che guaio!

Lo farei rientrare solo per prenderlo a calci, meglio che non si azzardi. Non sia mai detto che Benedetta si è fatta fregare così, e da un uomo per di più.

E se si fosse ammalato, magari non sta bene, oh! Come faccio io, non posso nemmeno aiutarlo! Se solo sapessi dove sta… ah, ma basta, basta così. A che serve farsi mille pensieri? Da qui non potrei comunque fare nulla. Devo andare a chiamare Gelsomina, quando porta le capre a pascolare torna sempre più tardi ultimamente.

Chissà che combina, quando arriva a casa ha una fame da lupi e io non ho che questi pochi bocconi di pane. Solo una volta ha chiesto di suo padre. E io le ho risposto di andarsi a lavare la faccia, perché era tutta sporca sulla bocca. E lei ha capito, o forse non ha ribattuto perchè sapeva che poi le buscava, e non ha parlato più.

ANNI DOPO...

GELSOMINA

Quanto mi sono state strette queste due stanzette. Mi sento soffocare da che sono nata. La cucina, la stanza da letto. Il bagno fuori, più lontano. Mamma ed io sempre a litigare, lei che riusciva a tirarmi per i capelli, troppo facile prendermi, non c'è mai stato spazio qui. Ma grazie a Dio saranno gli ultimi giorni che ci starò. Giovanni mi sposa, mi sposa e mi porta lontano. In Francia ha detto, andremo lì perchè un parente suo gli ha trovato lavoro.

 Molti compaesani sono partiti, in questi anni, chi in Francia, chi in Belgio, chi in America. Tutti emigrano perché qui c'è la fame e la miseria. Volevo chiedere pure io a Giovanni di emigrare in America invece che in Francia. Avremmo potuto cercare notizie di mio padre, visto che l'Ambasciata non è mai riuscita ad aiutarci con le ricerche. Ma poi ho capito che Giovanni a quel lavoro di Parigi ci tiene veramente, che ha intenzioni serie, ha già fatto progetti, non andremo all'avventura. Quando l'ho detto a mamma è rimasta in silenzio, lei Giovanni non lo può vedere. Non lo può vedere da quando le ho detto che lo sposavo, perché lei un marito non ce l'ha più, e poi perché Giovanni mi porterà lontano, lontano da lei e dai suoi scappellotti, dalla sua rabbia cieca, dalla sua durezza. Non avrà di che sfogarsi senza di me e perciò è rabbiosa. Giovanni è calmo, dolce, con lui posso parlare. Gli posso raccontare delle mie paure senza che mi rida in faccia, gli posso dire cosa mi va e cosa non mi va di fare senza che incominci ad urlare. L'ho capito subito che tipo era: lo incontravo la domenica al mercato, con la camicia stirata e i pantaloni blu di flanella. Che pezzo d'uomo: magro, alto, silenzioso, mai una parola fuori posto, una risata inopportuna, uno sguardo insistente. Ah, però l'ho notato che si emozionava: mi vedeva arrivare e iniziava a scrutarmi. Un'occhiata e poi abbassava la testa, muoveva il piede libero dall'appoggio e fischiettava. Io non sono stupida, ho capito. La bellezza non ce l'ho, come dice mamma, ma spesso mi accorgo di chi mi osserva in un certo modo, forse perché ho il petto puntuto e la vitina sottile, anche senza busto mi sta bene quasi tutto. Mamma dice anche che gli uomini sono bestie e devo starci lontana, sarà per questo che a volte mi urtano gli sguardi troppo sfacciati, e dopotutto sono una signorinetta per bene, non esco, vado alla messa e a fare la spesa, ma solo di domenica.

E' stato proprio una domenica che Giovanni mi ha seguito. Prendevo un'accorciatoia per tornare a casa, una che conosco solo io. Sentieri, fratte, incroci di stradine abbandonate. Guardo l'orizzonte e sono a casa, perché in linea d'aria, casa mia, sta proprio di fronte alla piazza del mercato di Casalvieri. Una domenica, ho sentito che qualcuno mi stava alle calcagna, qualcuno che non voleva farsi vedere ma faceva comunque rumore... ah, le foglie, specie se sono secche,non possono ingannare un viandante: segnano i passi meglio della neve, basta accostare l'orecchio e trattenere il fiato, tutto s'ode. A un certo punto, stanca e curiosa e pure un po' impaurita da questo continuo frusciare tra le fratte, mi sono girata di scatto e ho visto una camicia. Era la camicia di un uomo che non riusciva a nascondersi bene dietro un cespuglio, perché non conosceva la strada come io la conoscevo, e non sapeva che è meglio non nascondersi tra i rami e le foglie: l'aria passa sempre, non sono mai fitti fitti e un occhio attento sa vedere. E quindi ho indietreggiato, ho proferito: "Chi va là?" con tutta la rabbia che potevo. Il cuore mi batteva fortissimo in petto e subito mi sono guardata attorno per cercare un sasso, una mazza, qualcosa che mi potesse difendere. Dopo un po' ho sentito una risata, una risata come quella di un bimbo senza scampo, che cerchi clemenza perché colto con le mani nello zucchero. Ho inclinato la testa e l'ho visto: Giovanni, che mi guardava sorridendo tra i rami, innocuo come una coccinella. Gli ho detto: "Se po' sapè che uo'?", e mentre le gambe ancora mi tremavano, ho riso anch'io.

Mamma pensava di soggiogarmi incutendomi paura, io certi giorni non so nemmeno come posso volerle ancora bene, dopo di tutto quello di cui mi ha privato, la vita di fatica e miseria che mi ha costretto a fare. Basta, sono contenta finalmente di andare via, qui a Casalvieri non ci voglio più tornare. Verrò solo a salutare qualche volta mia cugina Nenetta, lei è sempre stata buona e, insieme, ci siamo anche fatte qualche risata. Queste montagne non mi mancheranno, mi hanno logorato le forze, le gambe, le ginocchia. Le piante dei piedi consumate sulle rocce, per quelle capre ingrate, che sapevano solo ruminare e brucare, ruminare e brucare, mai che si fossero avvicinate in cerca di una carezza, pure loro, indurite da questa vita.

 

BENEDETTA

Se pensa di lasciarmi qua ha sbagliato di grosso. L'ultima volta che sono rimasta ad aspettare me l'hanno fatta sotto il naso e mio marito non l'ho più visto. Stavolta non farò lo stesso sbaglio con mia figlia.

 Loro vanno in Francia a sistemarsi ed io, la mamma che s'è tanto sbattuta per la famiglia, devo restare in questa cantina a rattrappirmi le gambe e a scacciare tutti i luridi che capitano da queste parti? Le impedirò di sposarsi. Non glielo permetterò. Ma che dico? Già si è fatta vedere troppo in giro con quel tipo, così rischio che non la sposi più nessuno. Le parlerò. Le dirò che è irriconoscente verso sua madre, che cento volte avrei potuto lasciarla su per quelle montagne insieme alle capre, senza dovermi più preoccupare della sua pancia da riempire, e l'ho tenuta con me, invece, l'ho sfamata, l'ho vestita, l'ho cresciuta, togliendo tutto dalla mia bocca per darlo alla sua, che se solo lei non fosse nata sarei potuta partirle con Antonio e a quest'ora... oh, ma che sto dicendo? Ma che vado pensando? Gelsomina, Gelsomina, non ti ho chiamata forse col nome di un fiore? Non vuol dire questo che ti voglio bene, Gelsomina mia... No, parlerò con Giovanni. Tanto è lui che decide, è lui che paga il viaggio, lei lo segue come un cagnolino. Parlerò con Giovanni e sarò chiara: io qui non ci resto, dovessi campare d'aria un mese intero per pagarmi il biglietto del treno, io qui non ci resto. Non è finita ancora, la vita mia.

 

VILLEJUIF, 1947

GELSOMINA

Sono quasi le sei, tra poco rientra Giovanni. Devo mettere l'acqua a bollire, quando torna a casa ha una fame incredibile. Il lavoro c'è, e tanto pure, è riuscito a mettersi in proprio, una piccola ditta che porta il suo nome, "Fanelli". Fanellì, dicono i francesi, che lo chiamano "monsieur", e a me invece "madame". Piano piano sto imparando. Il francese non è difficile, in certe parole somiglia all'italiano, anche se io non parlavo bene nemmeno quello. Ho imparato cosa devo dire quando la mattina, ogni tanto, vado a prendere il pane e ho tutta quella fila di gente davanti al fornaio che sembra lì apposta a sentire quello che ho da dire, e mi guarda ed è impaziente e mi fa venire un'ansia... questo il più delle volte mando Giovanni a prendere il pane dopo il lavoro.

 E' così paziente, mi accontenta sempre. Lui la lingua ha dovuto impararla in fretta, quando siamo arrivati, sennò il capocantiere lo cacciava per prendere qualcuno più giovane. Non è più un bambino Giovanni, mi ha spostato che aveva 33 anni... un uomo fatto, ma sempre solo solo. I bambini sono buoni. Anna è bella come un sole, con quegli occhietti scuri e i ricciolini neri, farà l'attrice, è bella, bella. Riccardo è dolce e silenzioso come il padre. Sembrano due angeli, non ho mai dovuto alzare la voce con loro. E poi ascoltano, sono educati, a tavola siedono per bene, non fanno capricci per mangiare... ah, se solo penso di dovermi sedere tra poco e cenare mi viene un mal di pancia, un malessere... deve essere quest'aria dell'inverno francese: fa freddo come a Casalvieri non lo avevo mai sentito, meno male che in casa si sta bene, abbiamo coperte e il fuoco schioppetta anche tutta la notte. Quasi quasi me ne andrei a dormire...che debolezza oggi, che strana e dolce stanchezza. Mamma non è ancora salita, ora la chiamo per darmi una mano. Le dirò che la facesse lei la pasta mentre io penso al pasto dei bambini. E che li facesse mangiare tutti insieme, pure, perché io non ho proprio voglia di sentire quell'odore forte di sugo al pomodoro. Almeno mi aiuta, la vecchia, ha capito subito che, se proprio voleva partire con noi, non doveva darci fastidio perché noi dobbiamo vivere liberamente la nostra vita, e lei, col suo carattere autoritario, avrebbe dovuto imparare a stare zitta. Perché qui la pagnotta la porta Giovanni, mica siamo a Casalvieri. Qui non bastano pane e formaggio per saziarsi, qui si mangia per bene. Io ai miei figli li voglio vedere sempre puliti e nutriti, non devono fare come la loro mamma, no. Devono crescere bene, e sorridere sempre. 

Barbara Mollicone

 

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