Di SILVANA CEDRONE

L'ispirazione e l'idea di scrivere la storia di Francesco, mio nonno, hanno avuto forte impulso dall'elezione di Papa Jorge Bergoglio: Papa Francesco. Ascoltare la sua voce chiara, calma, suadente e con un forte accento argentino ha riportato alla mia mente la pronuncia di nonno Francesco, nonno materno.

Egli nato a San Donato Val di Comino nel 1901, come molti giovani di allora, emigrò in Argentina nel 1927. Contadino povero e boscaiolo cercò, per tutta la vita, con il suo onesto lavoro, il riscatto economico e sociale che la sua patria gli aveva negato. Ognuno ha il suo destino, il suo fu di sacrifici, sofferenze e lontananza dalla sua famiglia che aveva da poco formato.

 NONNO FRANCESCO

Ho voluto scrivergli alcune lettere che lui certamente leggerà dal cielo e spero di avergli, in qualche modo, dato una grande gioia.

Lasciò la moglie e la figlia di quattro anni, la piccola Antonietta. Alla partenza, nel salutarla, la mise su una sedia della cucina, l'abbracciò e le disse in dialetto: "Fatt' grossa, c'apuò papà r'vè" (diventa grande che poi papà ritornerà).

E' tornato, sì, ma dopo cinquantacinque lunghi anni. L'arrivo delle sue lettere dall'Argentina, all'inizio fu regolare; successivamente non giunsero più nella casa della moglie Teresa in contrada "Divino Amore".

Un disguido, tanti disguidi, ma finalmente nonno è stato rintracciato e l'abbiamo voluto con noi, nella nostra famiglia, fino alla sua morte avvenuta nel maggio del 1994.

E' stato con noi circa dodici anni. Era un uomo buono, religioso, onesto, affettuoso e gran lavoratore.

Aveva subito sempre il cambio sfavorevole della moneta argentina nei confronti della lira. Era anche orgoglioso, ho appreso dai suoi racconti che si vergognava di ritornare in Italia, al suo paese e alla sua famiglia con "nada" - senza niente -, come diceva lui che ormai parlava spagnolo.

Il contenuto delle mie lettere è frutto dei suoi racconti e dei suoi ricordi, a cominciare dalla nave: Conte Verde.

Lunghissimo il viaggio: Napoli, Genova, Gibilterra, Buenos Aires.

All'arrivo nel porto di Buenos Aires, si accorse che un uomo, fintosi sulla nave suo amico, lo stava "vendendo" a qualcuno venuto a reclutare manodopera.

Non ho voluto scrivere un trattato sull’emigrazione italiana in Argentina o in America meridionale, né uno economico sulle condizioni dell'Italia negli anni venti e trenta. Ho voluto soltanto ricordare con affetto nonno Francesco, la cui storia, sebbene con esiti diversi ripercorre, per alcuni aspetti, quella della famiglia del nostro amato papa Francesco.

14 marzo 2013

Carissimo nonno, ora che è stato eletto un Papa italo - argentino e per di più ha preso il nome "Francesco", che è anche il tuo nome, non posso più rimandare né esimermi dallo scrivere la tua storia.

Certo è che quando ho visto il Papa affacciarsi dal balcone centrale della basilica di Piazza San Pietro e l'ho sentito parlare, il mio pensiero è andato subito a te ed ho detto a mio marito: "Somiglia a nonno Francesco!".

Quando si parla di te in famiglia oppure si è raccontato della tua vita a conoscenti o ad altre persone, c'è stato sempre qualcuno, a cominciare da mia sorella, che ha detto: "Perché non scrivi queste cose così vere, toccanti e commoventi?"

Così eccomi qui a ricordare e rivivere. Dove iniziare? Proprio dalle parole pronunciate dal Papa ieri sera quando ha salutato l'immensa folla che attendeva la sua benedizione in Piazza San Pietro. Ha detto a tutti che oggi sarebbe andato a pregare la Madonna in S. Maria Maggiore per ringraziarla e impetrare il suo aiuto.

Tu eri grande devoto alla Madonna del Divino Amore, dipinta anche sulla parete di fondo della chiesetta che si trova accanto alla tua casa, alla casa dei tuoi genitori, in S. Donato Val di Comino, in campagna, a via Divino Amore. Tu, tornato a noi, solevi dire che era stata la Madonna a guidarti e a ricondurti infine alla tua famiglia. Ci hai insegnato delle bellissime preghiere che non conoscevamo e che tu avevi custodito nella mente e nel cuore nei lunghissimi anni dell’emigrazione in Argentina.

Quante storie intorno alla chiesetta del Divino Amore! Qualcuna di esse ha del miracoloso, o almeno, la credenza e la bontà popolare ritengono quanto accaduto una volta, come una specie di miracolo. Tu raccontavi spesso questo episodio con molta fede e tanta devozione. Eri un giovanotto e, come già detto, abitavi con la tua famiglia nella casa colonica del Divino Amore. Una volta, ci fu un'estate molto calda e siccitosa, non piovve per circa due mesi. I contadini, con i loro animali, soffrivano la sete.                                                                           
Il raccolto era compromesso, tutti pregavano affinché piovesse. Accadde che una notte di luna piena, tra la fine di agosto e l'inizio di settembre tu sognasti la Madonna del Divino Amore che ti rivolse queste parole: "Voi tutti volete che piova, ma come può piovere se i coppi del tetto della mia cappella sono sconnessi e fuori posto? Se pioverà mio Figlio ed io ci bagneremo". Tu, allora, ti alzasti, andasti sul tetto della chiesetta e, alla luce della luna piena, con ordine, rigirasti i coppi mettendoli a posto affinché non piovesse all'interno della cappellina. Rientrato a casa, ti mettesti a letto, e all'improvviso sentisti che cominciò a piovere. La pioggia benefica che tutti attendevano scese copiosa e ristoratrice. Tu, però, non parlavi di miracolo, dicevi che fu veramente strano e lasciavi che gli altri traessero le conclusioni. I fenomeni atmosferici, allora imprevedibili, oggi sono quasi tutti spiegabili, tuttavia, a noi piaceva ascoltarti raccontare queste storie.

La preghiera alla Madonna del Divino Amore la recitavi, con grande partecipazione e passione, modulando la tua voce nei diversi passi. Essa era dolce ma ferma nel saluto, supplichevole e implorante nel domandare grazie. Ricordo le tue braccia sollevate a mezz’aria mentre pregavi, sembrava quasi che tu la vedessi la Madonna e parlassi con Lei. Così ho voluto anch’io imparare la preghiera e trascriverla. Nel mese di maggio, ogni anno, diverse persone si radunano, nel pomeriggio, presso la chiesetta della Madonna del Divino Amore e recitano il Santo Rosario.

 

 

16 marzo 2013

Immagino che anche tu ti alzasti molto presto quel mattino che partisti per Napoli nel 1927. Anzi credo che non dormisti quasi per niente quella notte. Lasciavi la tua famiglia: nonna Teresa, la tua sposa, e mia madre, la piccola Antonietta che allora aveva appena quattro anni essendo nata il primo agosto del 1923. Lasciavi i tuoi genitori e tutti i tuoi parenti e conoscenti. Partisti alla volta dell’Argentina in cerca di lavoro per potere estinguere il debito dell'acquisto della casa e del terreno in località del Divino Amore in S. Donato Val di Comino provincia di Frosinone. La bella casa colonica, di proprietà del signor Bernardino Massa, aveva ospitato, come fittavoli e mezzadri, i tuoi genitori, la tua famiglia e quella di tuo fratello Donato.

Tu ci hai raccontato spesso del signor Berardino e ne parlavi con rispetto. Tu conoscevi e frequentavi anche la sua casa in paese. Da ragazzo vi andavi spesso, comandato dai tuoi genitori: Carmine Cellucci e Anna Marchelletta, a portare i frutti dei campi oppure animali da cortile che allevavate in campagna.

Quando tu diventasti giovinetto, il signor Berardino ti portava spesso con sé a controllare i suoi terreni e gli altri mezzadri. Una volta, ti portò ai "Casali" dove lui aveva dei vigneti. Andaste a controllare se l'uva fosse matura. Tu, ogni tanto, allungavi le mani per prendere qualche grappolo e mangiarlo, egli vedendoti ti disse: "Ciuf' la Francì' !". Fischia Francesco! Questo fatto ci faceva sorridere, e, infatti, se si fischia non si può mangiare. Provate!

 

LA VECCHIA CASA

Era bella la casa, aveva una grande aia sulla quale si svolgevano tanti lavori: vi si facevano asciugare i covoni di grano e di segale, vi si trebbiava il grano con i buoi, vi si "scartocciava" il granturco, vi si faceva la conserva di pomodoro per tutto l'anno, vi si stendevano i panni ad asciugare e così via. Da bambina vi ho trascorso tanto tempo giocando da sola e con mio fratello Donato. Ora è tutto in rovina, la casa è stata fortemente danneggiata dal terremoto del 1984 e l'aia saccheggiata dei pezzi di pietra, squadrati a mano dagli scalpellini, che la ornavano come sedili. E' stata derubata delle belle lastre di pietra locale, lavorate sempre a mano, che la recingevano.
Durante i miei lunghi anni d'insegnamento, poiché il GAL (Gruppo di Azione Locale) di Alvito, una volta, aveva proposto agli alunni delle scuole medie statali della nostra valle un lavoro di ricognizione delle aie del territorio, vi ho condotto in visita anche i miei alunni della Scuola Media Statale di San Donato.

In quell’occasione, con mia madre Antonietta e con gli alunni, togliendo lo strato superficiale di terra che ormai copriva l'aia, ritrovammo sul pavimento un cerchio di mattoncini rossi entro il quale vi erano le iniziali dell’antico proprietario e la data di costruzione.

Dicevo: "Estinguere il debito per l'acquisto della casa colonica e del terreno al "Divino Amore". Già, ma perché acquistare una casa o il terreno se non si hanno i soldi?
E perché i proprietari, che pure avevano vissuto a lungo con il lavoro dei fittavoli e dei mezzadri, misero in vendita la casa?  Impressionati dalle notizie politico-sociali conseguenti la costituzione dei partiti comunisti e socialisti che proponevano l'assegnazione della terra a chi la lavorava, vendettero le loro proprietà terriere spostandosi in città.

E così, non avendo il denaro per l'acquisto e non volendo essere cacciati da altri acquirenti, l'unica strada da percorrere fu quella di emigrare per guadagnare i soldi e comprare la casa.

Tu, caro nonno, con grandissimi sacrifici, solo, in una terra lontana, nel giro di pochi anni, tramite la Croce Rossa Internazionale, spedisti a nonna Teresa e a tua figlia i soldi necessari e la casa del Divino Amore fu comprata per la tua parte. L'altra fu di tuo fratello Donato Cellucci. Quando finalmente sei tornato a noi nel 1982, è stato un dono immenso conoscerti di persona, ascoltarti, amarti e gioire della tua presenza, della tua saggezza, ma anche dolersi con te delle tue sofferenze, apprendendo, con il passare del tempo, le tue peripezie e disavventure dall'altra parte del mondo: Calle Colon San Fernando - Buenos Aires Argentina. Questo il tuo indirizzo per molti anni.

Partisti per Napoli, dopo aver salutato tutti, anche il tuo parroco Don Raffaele Quintiliani. L’ultimo saluto, come ci raccontava nonna Teresa, fu per la piccola Antonietta: aveva solo quattro anni, la mettesti sulla sedia di paglia della cucina ed abbracciandola le dicesti: "Fatt' grossa eh! C'apuò papà r'vé". Diventa grande che poi papà ritornerà.

21 marzo 2013

Tornasti, infine, era ormai l'agosto del 1982. Trovasti tua figlia, tuo genero Evo, i nipoti Maria, Silvana, Donato, Antonio marito di Maria, Claudio marito di Silvana e Regina moglie di Donato. Trovasti, perfino, i pronipoti Donato e Mariateresa figli di mia sorella Maria, Roberto mio figlio, a seguire, Laura ed Annalisa figlie di mio fratello Donato. Manca solo nonna Teresa, è deceduta il 25 aprile 1974 per infarto cardiaco.

 

NONNA TERESA

Si, nonna, la bella, la santa, la fedele, la buona, la generosa, ha vissuto aspettando invano il tuo ritorno e dedicando la sua vita a tutti noi. Lei è sempre nei miei pensieri, mi manca ed il suo ricordo è struggente. Da bambina dormivo nel suo letto e ricordo come nei lunghi e freddi inverni, nella bella casa del Divino Amore, bella sì, ma che come mezzo di riscaldamento aveva soltanto il focolare con la legna della potatura degli ulivi oppure delle querce, di olmi e carpini. Lei mi copriva e, con la mano, si assicurava che lo rimanessi fino al mattino. A quei tempi non si usavano profumi e deodoranti ma io ho nel cuore il profumo del suo corpo e dei suoi capelli raccolti a trecce intorno al capo.

Alta, magra, elegantissima nel suo vestito da Ciociara (pacchiana). Il suo volto era sempre serio, a volte triste, da grande poi ho capito il perché.

 

ANTONIETTA, SILVANA E LA NONNA

Nonna Teresa era povera, ma onesta e grande lavoratrice. Custodiva con affetto, sacrifici ed abnegazione la casa, la stalla con gli animali domestici e la terra dove tu 1'avevi lasciata. Aspettava le tue lettere. Ricordo quando, mentre giocavo sull' aia, scorgevo spuntare dalla curva di "T'mason" la "postera" signora Loreta e poi la figlia di lei: Cesidia Gatti, sì, la postina che con la sua grande borsa di cuoio avanzava adagio, per la strada sassosa, verso di noi. lo correvo a chiamarti poiché stava arrivando la postina.

Che felicità se c'era la lettera per te o per mamma! Che delusione, se la postina si fermava solo per scambiare saluti e per bere un bicchiere d'acqua ma non apriva la sua bella borsa di cuoio.

Se, invece, c'era la lettera dall' Argentina, la postina si fermava un momento e diceva:

"L'iegg' Teo' v 'ir' ch' dic' Francisch', c' avota ca' sta' buon" "Leggi Teresa vedi che cosa dice Francesco, speriamo che stia bene".

Mia nonna, autodidatta, apriva la busta e leggeva tra sé e dopo rassicurava la postina, la quale se ne andava contenta per le buone notizie.

Mia madre Antonietta crebbe, frequentò la scuola, fino alla classe terza elementare, e, sapendo leggere e scrivere, fu di validissimo aiuto a mia nonna Teresa, tanto da sostituirla nella corrispondenza.

E' vero nonna, non avevi granché ma eri generosa; quante volte Graziuccia o zia Gerarda mi hanno raccontato che se si trovavano a passare vicino alla tua casa, tu, vedendole, facevi loro cenno di raggiungerti ed offrivi la pizza calda se avevi appena fatto il pane, oppure il minestrone se ne era rimasto. Tutte mi hanno assicurato che erano cose squisite. E ti benedicono cara nonna, dicono così: "Quanto era brava "ninna (zia) Teresa, possa stare alla gloria del Paradiso!".

lo sono sicura che tu sei lì, finalmente insieme a nonno Francesco. Quanto avete sofferto voi due! lo vi immagino vicini, vi prendete per mano e, quando non avete da lodare Dio, guardate noi che siamo ancora quaggiù e pregate per noi. Ah si! Dicevo delle lettere dall' Argentina, per lunghi anni non giunsero più. Ora so il perché. Dopo una grande alluvione e con 1'acqua alta, come quella avvenuta in Argentina nei giorni scorsi durante la quale sono morte 54 persone, tu, caro nonno, salvasti la vita ma perdesti tutto. Dicesti: "L'acqua se chievò todo elo che avia en la casa, se chievò puro le galline". (non so se la grafia è corretta).

5 aprile 2013

L'acqua alta portò via ogni cosa, anche i documenti, infatti, quando finalmente ti ab-
biamo rintracciato, non avevi più neppure il passaporto italiano. Abbiamo dovuto fartelo rifare dall' Italia, tramite il consolato e 1'ambasciata e, per questo, ringraziamo ancora il diplomatico Marcello Regirello ed il Console Salvatore Terenzio di Settefrati. Caro nonno ero sempre curiosa e desiderosa di conoscere come avevi vissuto in Argentina e tu, con grande pazienza ed a volte con sofferenza o con gioia, mi raccontavi i lunghi anni dell'emigrazione. Iniziavi dalla nave, della quale ricordavi il nome: era la "Conte Verde" e ricopriva la tratta: Napoli-Genova-Gibilterra-Buenos Aires.

LA NAVE CONTE VERDE

Nota

Il transatlantico italiano "Conte Verdefu costruito nel 1921 dai cantieri Beardmor& Cdi Glasgow, Scozia, per conto del Lloyd Sabaudo. Trasportava 400 persone in Prima classe, 550 in Seconda e 1450 in TerzaL'equipaggio era composto da 450 personeVenne varato nell'ottobre 1922. Nel giugno del 1923 effettuò il viaggio inaugurale da Gena Buenos Aires. In seguito fi/trasferito sulla linea GendaNapoli - New YorkNel 1938 fu ceduto al Lloyd Triestino che lo destinò alle rotte dell'Estremo Oriente. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondialeil Conte Verde strovava nel porto cinese di Shanghai e lì rimase sotto la "protezionedella Marina giapponese finché, qualche tempdopo l'8 settembr1943, successivamente allarmistizio dell'Italia con gli alleati, l'equipaggio incendiò la nave per evitarne l'utilizzo da parte dei giapponesi. Questi recuperarono lo scafo, lo rimisero in cantiere per le riparazioni, trasformandolo nel piroscafo Kotobuki MaruBombardato affondato dagli americani nel 1944, fu demolito in Giappone nel 1951Perché il Conte VerdeQuesto nome deriva dal Conte Amedeo VI di Savoia (1334-1383)conte d'Aosta Moriana da1343 al 1383Egli era solito sfoggiare nei tornei armi vessilli di colore verde, tanto che venne appunto soprannomi nato il Conte Verde.

Dopo la lunga traversata, durante la quale imparasti a memoria la preghiera allo Spirito Santo, sbarcasti finalmente a Buenos Aires. Non vi rimanesti, tuttavia, ti allontanasti subito poiché avevi per caso ascoltato un tuo compagno di viaggio, il quale sulla nave si fingeva tuo amico, che ti stava vendendo a qualcuno venuto presso la nave per reclutare manodopera. L'amico diceva all'altro: "Ti mando quest'uomo, è forte e lavoratore, ma quanto mi dai?". Tu senza dire nulla di quanto ascoltato e senza farti notare, ti allontanasti velocemente dal porto e dalla città recandoti lontano, in campagna, dove per molti anni facesti il contadino lavorando per le famiglie del posto. In quegli anni, milioni di persone lasciarono i loro paesi di origine per raggiungere luoghi lontani dove trovarono quelle speranze di una vita migliore che la Patria aveva loro negato; si sottraevano alla miseria delle campagne, alle carestie, alle crisi economiche e alle persecuzioni politiche.

L'Italia fu una delle nazioni più colpite dall'emigrazione, dal 1876 fino a tutti gli anni '20 e '30, più di venti milioni di persone lasciarono il nostro Paese. Di esse i due terzi circa tornarono, gli altri rimasero nei paesi di arrivo. Le campagne, a quel tempo, popolate da contadini semi analfabeti erano percorse da "agenti" che facevano balenare un paradiso in terra e favolose possibilità di guadagno. La differenza, però, tra promesse e realtà era chiara fin dal momento dell'imbarco. Sui moli, intorno ai contadini ingenui che partivano e che non avevano mai visto una città, si muoveva un vero e proprio giro d'affari, manovrato da faccendieri ed imbroglioni.

Sulle navi si dormiva ammassati nelle stive o nei ponti inferiori, privi di servizi igienici e di assistenza medica.Coloro che arrivavano a destinazione non sapevano a chi rivolgersi, non parlavano la lingua del posto e non sapevano dove dormire. L'organizzazione dei nuovi arrivati ben presto divenne un affare. A volte, emigrati già ben inseriti ricevevano al porto i nuovi, trovavano loro un posto per dormire e un lavoro ricevendo in cambio una tangente sui loro salari. Tu eri contadino e boscaiolo, cos' altro avresti potuto fare bene? Avevi fatto il boscaiolo in Italia, eri stato anche in Basilicata a tagliare i tronchi e a fare le traversine per le ferrovie. Eri stato ad Opi (Aquila), al mulino d'Opi, lungo il fiume Sangro a tagliare il bosco di faggio. Curioso quanto ti capitò ad Opi, la volta che il tuo "padrone", tu lo chiamavi così, signore del luogo, ti comandò di andare a togliere le sue vacche dove non potevano pascolare. Mentre tu ti recasti sul posto e cercavi di guidare gli animali altrove, giunse il guardaboschi che rilevò il tuo nome e cognome facendoti la multa, come se le vacche fossero state tue, e non volle sentire ragioni, né lui né il tuo "padrone" proprietario degli animali. Già, neanche lui che ti aveva comandato di andare a "rigirare" le vacche. Così, la multa fece il suo percorso e dopo qualche tempo ti fu ingiunto dal Tribunale di Avezzano di andare a pagare. Tu non avevi le cinque lire per pagare, così per fortuna, te le prestò tua sorella Peppinella.

 

TERESA E PEPPINELLA

A proposito di Peppinella, era la tua sorella maggiore e ti voleva tanto bene. Ti portava spesso con sé. Andavate a trovare i parenti alle "Caselle" - Pietrafitta CFr). Già, perché vostra madre era di Pietrafitta un grazioso borgo del comune di Settefrati. Anna Marchelletta, "mamma Annuccia" per noi tutti, era venuta sposa a San Donato Val di Comino. Moglie di Carmine Cellucci , "tata Carminuccio", avevano avuto bei figli, tutti in buona salute: Carlo, Rosa, Peppinella, Teresa, Donato e Francesco.

PRIMA COMUNIONE SILVANA

Una volta Peppinella ti condusse con sé a trovare gli zii di Pietrafitta tra cui Vincenzo, Nunziata e Domenica. Essi vi regalarono un canestro pieno di ciliegie che doveste poi portare per quattro-cinque km fino a casa. Sulla strada del ritorno, Peppinella portava sulla testa il bel canestro di vimini e canne intrecciate pieno di gustose ciliegie. Stanca, poi, del peso sulla testa, a metà percorso, propose a te di portare il canestro e te lo mise in testa. Tu cercasti per alcuni passi di tenerlo in equilibrio, reggendolo anche con le braccia alzate ai lati del capo.

Inciampasti quasi subito, però, in una pietra in mezzo al viottolo ed il canestro con le ciliegie finì per terra. Tu nel raccontarci questo episodio ridevi divertito. Da noi, in Valle di Comino, gli uomini non portano cose in equilibrio sulla testa, è esclusivo compito delle donne. Vi affrettaste a raccogliere i bei frutti caduti, mentre Peppinella ripeteva: "Pov'r ' cerascell' mé", "Pov'r' cerascell' mé".

Mamma Annuccia tua madre, era una donna speciale, saggia e tranquilla, l'avevano soprannominata "la m'r'chessa (la medichessa) d' chiss' F'nizia" (la famiglia Cellucci veniva soprannominata "Finizia" dal nome proprio di un' antenata). Per quel che poteva, sapeva: ricomporre ossa di mani, braccia e gambe nonché liberare i bambini dai vermi.

Dicevo della multa che ti fu inflitta ad Opi in provincia di l'Aquila. Tu andasti, a piedi, da San Donato ad Avezzano. Quando arrivasti era ancora presto, aspettasti davanti al portone finché aprissero e raccontasti all'usciere, che venne per primo ad aprire, che cosa eri venuto a fare in tribunale. Egli ascoltò la storia e poi scuotendo il capo di qua e di là, dispiaciuto disse: "Ah! Povero r'sciott!!!". (Povero fesso?). Questo l'episodio che ricordavi della tua vita di "s' cator" tagliatore di tronchi ad Opi, prima di emigrare.
Caro nonno mi viene in mente lo scrittore Ignazio Silone, non solo per il luogo: Avezzano, ma soprattutto, per il suo romanzo denuncia "Fontamara". Chi può aiutare i poveri, gli umili, gli offesi? Solo Dio a volte. Tu, povero, umile, offeso, non cercasti vendetta ma è umano cercare giustizia. Tu così buono e semplice, volesti vedere un segno della giustizia di Colui che ci ha creati e ci protegge quando, molti anni dopo, un giorno, sulla mulattiera S. Donato - Opi, incontrasti il tuo antico "padrone" a cavallo, molto malato, era stato da un medico di San Donato per cura e consulto. Tu non ti rallegrasti del suo male, e, parlando con lui, lo incoraggiasti a curarsi e a stare meglio ma poi dicesti a me: "Il male non si fa, è peccato". Caro nonno scusa se sorrido, sto pensando: "Sicuro non ti venne in mente quella gita a piedi ad Avezzano con i soldi di Peppinella che poi, comunque, dovesti restituire? " Beh! Sai che c'è? Se non lo pensasti sei quasi santo, ed io cattivella.

Ritorniamo però in campagna a Buenos Aires. Raccoglievi a mano le pannocchie di granturco, eri veloce, riempivi dai 16 ai 18 grandi sacchi al giorno. I tuoi datori di lavoro erano orgogliosi di te e ti volevano bene ma il progresso giunse anche lì. Arrivarono le macchine e così non c'era più bisogno di manodopera, tu perdesti il lavoro (no habia mas trabajo para nosotros).

I soldi guadagnati erano pochi, non solo, erano quasi niente al cambio con la lira.

Non bastavano neppure per pagare il viaggio di ritorno con la nave. Così te ne andasti all'interno dell' Argentina, verso le montagne, a Cordoba. Lì c'era ancora bisogno di legnaioli e di manodopera. Passati diversi anni, pensasti di tornare verso Buenos
Aires anche perché aspettavi la pensione, la "giubilazione'' come dicevi tu. A Buenos Aires incontrasti un portoghese, tale Rafael Da Costa. "Elo teneva una chinta ... " su un'isola del delta del Paraguay- Paranà. "Ed jo travaçò con elo, muchos afios".

Così non essendoci il servizio di posta verso l'isola, tu andavi a prendere, con la lancia, le nostre lettere presso un bar ristorante sulla terraferma. I camerieri e le inservienti del bar che già ti conoscevano, cambiavano ogni tanto e succedeva che qualcuno poi non ti consegnava le nostre lettere. Per molto tempo non abbiamo avuto corrispondenza e qualche volta ti abbiamo pianto come scomparso anche perché, in quegli anni, si verificò, in Argentina il fenomeno dei Desaparecidos' .

Nota

Si ritiene chetra il 1976 e il 1983in Argentina, sotto il regime della Giunta militare, siano scomparsi fino a 30.000 dissidenti o sospettati tali su 40.000 vittime totali. Tipico del fenomeno dei desaparecidosletteralmente persone fatte scomparirefu la segretezza con cui operarono le forzgovernativeGli arresti ed i sequestri avvenivano spesso di notte in genere senza testimoni. Le autorità non fornivano ai familiari la notizia dell'avvenuto arresto e gli stessi capi di imputazione erano di solito molto vaghi. Della maggioranza dei desaparecidos non si seppe effettivamente mai nulla e solo dopo la caduta del regime Militare ed il ripristino della Democraziacon la pubblicazione del rapporto "Nunca mas("Mai più"), fu possibile conoscere che molti di loro furono detenuti in campi di concentramento clandestinitorturati eassassinati segretamente. Le salmedei Desaparecidosfurono occultate in fosse comuni o gettate nellOceano Atlantico o nel Rio della Plata con i cosiddetti "voldella morte". La sparizione forzata è stata riconosciuta come crimine contro l'umanità dall'articolo 7 dello Statuto di Roma del 17 luglio 1998 per la costituzione del Tribunale Penale Internazionale e dalla risoluzione delle Nazioni Unite numero 47/133 del 18 dicembre 1992. La denuncia e la scoperta deglorrori avvenuti in Argentina durante il regime militare si deve alla coraggiosa azione delle Madri di Plaza de Mayomadri dei giovani desaparecidoche con una protesta pacifica, sfidando il regime, riuscirono a far conoscere allopinione pubblica il dramma che stava avvenendo nel loro paese. Capo della giunta militare fu Jorge Rafael Videla, dittatore dell' Argentina dal 1976 al 1981Estato condannato due ergastoli e cinquanta anni di carcere, per crimini contro I'umanità.è morto in carcere il 17 maggio 2013Le madri di Piazza di Maggio, appresa lnotizia della sua morte hanno detto che per loro era già morto da tanto tempo.

 Maggio 2013

Una volta, inoltre, avesti un infortunio. Tornando all'isola, deluso per il fatto che non c'era posta per te, attraversando presso un ponticello di legno malsicuro, precipitasti nell'acqua fratturandoti il femore e rimanesti vivo per miracolo.

Così, mentre noi pensavamo che non volessi scriverei più, tu, invece, scampato alla morte, non andasti più a prendere le lettere di nonna e mamma presso quel bar ristorante, convinto che fossimo noi a non voler più scrivere.

Non ci siamo sentiti per lunghi anni ma ti pensavamo sempre, e se tu non avevi i soldi per pagare il viaggio di ritorno, mamma e nonna, anche loro povere, non pensavano di mettersi in viaggio per l'Argentina. Già l'Argentina, terra bellissima ed affascinante, ti ha ospitato per tanto tempo, a noi sei mancato da morire. Ricordo con affetto struggente la tua bella figura sul balcone a casa di mamma e la tua voce calma e suadente. Quando mi sedevo lì accanto a te e ti parlavo di qualche cosa che era accaduto sul mio posto di lavoro ed ero dispiaciuta o delusa, tu avevi sempre parole buone e dicevi: "No importa, Si/vana, no importa todo se aregla". Durante una delle nostre conversazioni, tu che avevi lavorato tanto, che eri finalmente ricco, tu che subivi sempre il cambio sfavorevole della moneta", anzi sfavorevolissimo nei confronti della lira, alle mie domande sul perché non avevi pensato di tornare prima, rispondesti: "Eh! Si, Silvana, e poi una volta tornato, quando passavo per la via, gli altri indicandomi col dito desean: Mira, eccolo che è rivenuto con senza niente.

 COMUNICAZIONE BANCO DI NAPOLI

 Caro nonno, lì ho conosciuto il tuo orgoglio, ti ho compreso ed ho capito che eri anche tu una vittima dei pregiudizi di un piccolo paese e dei compaesani. Già, coloro che partivano dovevano fare fortuna e ritornare ricchi. Se si tornava poveri era quasi una vergogna ed allora aspettare la giubilazione, racimolare altri soldi da portare a casa.
Tu non sapevi neppure che le navi passeggeri non facevano più la rotta per l'Argentina e che bisognava prendere l'aereo per tornare in Italia. Tutti quei soldi che tu con sacrifici, pazienza, privazioni e fatica avevi risparmiato, non sarebbero bastati a pagare il biglietto aereo Buenos Aires - Roma Fiumicino. Il biglietto di ritorno te lo mandò mamma dall'Italia f 1.750.000. Lo comprò in un'agenzia di Sora.

Nel corso degli anni passati con noi, ci raccontavi episodi, fatti ed avvenimenti accaduti mentre eri in Argentina. Ti ascoltavamo con grande interesse, era la tua vita lontano da noi, avevamo sete e fame delle tue vicende, del tuo vissuto quotidiano, pendevamo dalle tue labbra.

Abbiamo capito che, vivendo da solo, ospite, a volte, di famiglie contadine, avevi imparato a fare tutto: cucinare, lavare la tua biancheria e perfino a rammendare.

Ricordo che una volta, mentre eri seduto sul balcone a casa di mamma e papà, hai "messo la pezza (toppa)" al ginocchio di un pantalone un po' consumato con un rammendo perfetto.

Avevi imparato con orgoglio ad essere autosufficiente, a "guidarti" come dicevi tu.

L'episodio più gettonato, che a turno ti chiedevamo di raccontare di nuovo, era quello dell'incidente capitato una volta durante la trebbiatura del grano. Tu, operaio che stava in alto sulla trebbiatrice, all'imboccatura nella quale si infilavano i covoni, volesti vedere un miracolo nella tua incolumità e salvezza. Mi sembra di udire la tua voce: "Passò che ... " Successe che mentre si trebbiava quel giorno, presso quella famiglia, ogni operaio addetto alla macchina trebbiatrice era al suo posto. Con il passare delle ore poi, vuoi per il caldo, vuoi per la stanchezza, l'operaio addetto al motore, il proprietario del grano ed altri, entrarono in una casetta lì vicina per bere e rinfrescarsi un po'. All'improvviso cominciò ad udirsi un rumore -ruido- provenire dal motore, non "marciava più bien". Poiché il rumore aumentava in modo esagerato, furono chiamati coloro che erano nella casetta a bere. Uno di loro prese un grosso secchio d'acqua, e, credendo di fare bene, lo gettò sul motore che si era surriscaldato. L'esplosione che ne seguì fu terribile, i pezzi metallici colpirono a destra ed a manca provocando morti e feriti. Si sentivano grida, lamenti e invocazioni di aiuto; "e a mi, non me passò nada"- Scendesti incolume dal cassone alto della trebbiatrice a soccorrere gli altri. "Seguro che a mi me aiutò la Madonna del Divino Amore, fu un milagro, tra morti e feriti a mi non me passò nada".

Un altro episodio che amavamo ascoltare era quello nel quale salvasti due donne: madre e figlia, dalle cattive intenzioni di un uomo ubriaco, "borracio" come dicevi tu.
Volesti difendere due donne sole (forse pensasti a nonna e mamma lontane?) dalle avances e dall' aggressione di un male intenzionato che voleva approfittarsi di loro, e poiché eri un ostacolo per lui, ti sferrò una coltellata all'avambraccio sinistro. Tu, sebbene ferito, facesti in modo di allontanarlo da quel luogo e farlo desistere da quanto aveva pensato di fare. Sì, eri un uomo buono, come quando eri partito, nelle estreme difficoltà della vita, la tua fede incrollabile in Dio e nella sua Madre Santissima ti ha salvato dai pericoli.

Carissimo nonno, i giorni sono trascorsi ed è arrivato dicembre. Soffia un vento fortissimo, San Donato è il paese del vento, viene dal vallone di Forca d'Acero e da quello dell' Obbaco, ha una forza incredibile.

Accanto alla mia casa ha perfino sradicato due querce. Le radici e parte della zolla giacciono rivolte al cielo, il tronco si è adagiato sulla stradina e sul terreno dei vicini. Mi dispiace vederle cadute.

Si avvicina il 10 dicembre, giorno in cui ricordiamo la Madonna di Loreto. Ti ho già parlato della tua lettera giunta a noi, per vero miracolo, nel 1981 dall' Argentina. Era indirizzata a nonna Teresa ma, a San Donato, di Teresa Cellucci ve ne era una soltanto, tua sorella Tresuccia che abitava in contrada Serola ed era la moglie di Donato Tramontozzi, "nanna Tuccio".

La postina portò la tua lettera in contrada Serola, ai figli di Tresuccia. La sera di quel giorno, la figlia Carme1a nel tornare a casa sua, a San Donato, si fermò a casa di mamma e le disse: "Antonietta, guarda che oggi la postina ci ha portato una lettera dall'Argentina, era per Teresa Cellucci. Non c'era il mittente, (l'indirizzo era all'interno) tu sai che nostra madre è morta e noi non abbiamo nessuno in Argentina, così abbiamo riconsegnato la lettera alla postina senza averla aperta".

Noi abbiamo pensato subito a te ma non avevamo più speranze.

Perché non speravamo più? Ora ti racconto il perché. Una quindicina di anni prima, mio padre aveva parlato con un signore che era tornato dall' Argentina ed era rimasto alcuni mesi ospite di parenti sandonatesi.

Papà gli aveva chiesto tue notizie, se ti avesse visto, se sapesse dove fossi. Il compaesano non ti aveva visto da molto tempo e, purtroppo, supponendo che tu, come molti, non saresti più tornato dall' Argentina, pensò bene di dire a mio padre che eri morto.
Un giorno, mentre eravamo a tavola tutti insieme e si parlava di te, papà, con tristezza, ci comunicò quanto riferito gli. Così, in famiglia si pianse per la tua morte. Si avvicinava il 25 aprile, ricorrenza della morte di nonna Teresa, tua moglie. Ogni anno nostra madre chiedeva al parroco di celebrare una Santa Messa in suffragio dell' anima di nonna quell'anno, al parroco che passava per la benedizione pasquale delle case, chiese:"la prego di celebrare la Santa Messa in ricordo di mia madre e, inoltre, di celebrarne una anche per mio padre deceduto in Argentina. Non sappiamo altro, non è più tornato dal 1927".

Caro nonno, hai capito che tragedia? Così, come tutti avevamo pianto quella volta, tutti abbiamo gioito e pianto per la felicità che l'arrivo della tua lettera ci ha dato. Finisco di raccontarti come l'abbiamo avuta.

Partita Carmela da casa nostra, era un sabato pomeriggio, l'ufficio postale era chiuso ormai, io andai a casa della postina Maria Cedrone "Marietta", Lei, alla mia richiesta, rispose che la lettera era depositata presso l'ufficio postale ed il lunedì mattina, se non fosse stata nostra, avrebbe dovuto rispedirla in Argentina.

Non puoi immaginare quante cose ci siamo detti quella domenica! Ognuno di noi sperava che quella lettera fosse nostra. Il lunedì mattina, alle ore otto in punto, ero già all'ufficio postale. Quando ebbi la lettere tra le mani, riconobbi la tua grafia, era solo un pochino più tremolante.

Eri tu, finalmente! La lettera era per nonna ma Lei non c'era più. L'abbiamo letta mille volte, non era vero che eri morto, ed ora finalmente ti avremmo forse conosciuto.
La felicità è qui! Ti vogliamo a casa, non ti perderemo più.

Quando sei arrivato, nella tua valigetta di cartone pressato, c'erano anche tutte le nostre fotografie che mamma ti mandava mentre crescevamo, fino a quella della nostra Cresima.

I NIPOTI DI FRANCESCO: MARIA, SILVANA E DONATO, NEL GIORNO DELLA CRESIMA

 Se le avevi conservate e custodite, si vede che ci tenevi a noi e che ci amavi anche se dalla "fine del mondo" come dice il Papa. Sì, le nostre fotografie erano custodite con il tuo certificato di pensione "la giubilazione" come la chiamavi Tu e con un francobollo che ritrae Evita Peron. Le tue cose care.

Grazie nonno per la gioia che ci hai procurato con il tuo ritorno.

Carissimo nonno Francesco e così siamo arrivati a Santo Stefano, la TV ogni tanto manda in onda il messaggio natalizio del Papa, pieno di esortazioni alla pace. La pace è artigianale ha detto Lui, speriamo che ognuno comprenda. lo sono entusiasta del nostro Papa, gli voglio bene.

Chissà se Lui qualche volta ha nostalgia dell' Argentina? Abbiamo tutti bisogno della tenerezza di Dio, come dice Lui. Abbiamo tutti bisogno di un po' di silenzio, se è vero come ho letto da qualche parte che "un' anima vale per la ricchezza dei suoi silenzi".

Corre l'obbligo di ringraziare ancora una volta tutto il personale della "Residenza Geriatrica Modelo" "Mis Amigos" Moron Buenos Aires.

Ricordo di avere scritto e parlato a telefono con il Direttore: Signor Donato Raul Pepe, e con qualcuna delle infermiere che si occuparono di nonno Francesco mentre preparammo i documenti per il rimpatrio. A loro va il nostro pensiero e la nostra riconoscenza per averti accudito, anche se per breve tempo.

La nostra gratitudine va anche al signor Rafael da Costa, tuo amico e datore di lavoro, ed a tutte quelle persone che, conoscendoti, ti vollero bene. Così il giorno della partenza è finalmente arrivato, dopo 55 anni lasci l'Argentina.

Il volo è Alitalia: Buenos Aires- Roma Fiumicino. Mamma Netta e Donato mio fratello, sono venuti a prenderti. Mia sorella, Regina la moglie di Donato, i figli di Maria, mio figlio Roberto, Claudio, i miei suoceri, i genitori di Regina, tuo fratello Donato,
papà ed io ti abbiamo aspettato a casa. E' stato preparato un bel pranzo, è con noi anche Antonio, il figlio di Caterinella di mamma Peppa, lui è venuto in visita ai suoi parenti dall' Argentina. Tra le altre cose ci ha detto che non potrà più tornare in Italia un'altra volta poiché, solo per pagare il viaggio, dovrebbe vendersi la casa.

La felicità è qui, tu sei qui. Con calma poi siamo andati al cimitero a trovare nonna Teresa. Già, lei non è più con noi, di sicuro è in Paradiso. Sono certa che lei ci vede, sa tutto di te e di noi e ci benedice. Gli anni che ci hai regalato sono stati intensi e belli, date abbiamo imparato tanto. Sapevi accettare il dolore, anche quello fisico che cercavamo di alleviare, ma poi non ce l'hai fatta più e te ne sei andato. Era una notte di maggio.

Ho ritrovato in un vecchio quaderno la lettera che ti scrissi allora, ecco la te la rileggo.

San Donato Val di Comino 17 maggio 1994

Carissimo nonno, e così te ne sei andato, in silenzio, senza un lamento. In una notte stellata di maggio, nel profumo dei fiori degli olmi che il vento leggero porta dalla montagna, sei partito per l'ultimo viaggio, il più bello per te, il più triste per noi.

Lo so che sei coraggioso, sai affrontare i pericoli tu, non hai paura dei viaggi, ti rende forte la preghiera che conosci e che hai nella mente. La tua fede sicura e incrollabile nello Spirito Santo e nella Madonna del Divino Amore ha commosso tutti e convertito molti. Sei stato forte nella solitudine e nella sofferenza, hai avuto sempre parole di conforto e di speranza per tutti coloro che ti hanno conosciuto e avvicinato. La tua voce era dolce e convincente nella semplicità e ragionevolezza delle conversazioni. Sei stato un dono del cielo per noi, ti avevamo atteso e desiderato tanto. Ora tutto si è compiuto. La terra e la casa del Divino Amore furono pagate al proprietario. Una rabbia sorda mi prende quando penso che cosa è costato a te ed alla tua famiglia quella casa, quella terra; mi calmo solo se rifletto sul fatto che tu avevi perdonato tutto e tutti. Si tutti, anche quelli che quando sei partito dall' Argentina per tornare "a casa" nel 1982, ti hanno consegnato tutta quella bella carta straccia, pesos fuori corso. Quando tu hai compreso che non si potevano cambiare in lire non hai detto neppure una parola sgarbata, ricordo che, con le lacrime agli occhi, hai guardato il cielo ed indicandolo con il dito dicesti: "Lo save Dios".

Ti voglio bene. Prega per noi e benedicici. Ciao Silvana

C'è stata la guerra della Falkland". Il cambio della moneta argentina è rimasto chiuso per cinque lunghi anni e quando ha riaperto, la moneta si è chiamata Austral.

NOTA

L'arcipelagdelle Falkland comprende due isole maggiori e molte minori nellOceano AtlanticMeridionale, aest della costa meridionale argentine la sua sovranità è contesaIl Governo Argentino, guidato dal Generale Leopoldo Galtieri, allora presidentedecise di giocare lcarta desentimento nazionalistico lanciandquella che considerava una guerra facile e veloce per reclamarper reclamare le isole Malvine. I19 marzo 1982quaranta argentini sbarcarondunnave militare e piantarono la bandierArgentina sulla dipendenza britannica della Georgidel SudQuesto atto venne consideratla prima azione offensivdellguerra. Il due aprilil generale Galtieri ordinò l'invasiondellMallii~eNonostante fosse stato colto di sorpresa dall'attacco argentino sulle isoleil Regno Unito organizzò una tasforce navalper scacciare le forze Argentinche avevano occupatgli arcipelaghiericonquistò le isole dopo pesanti combattimenti. I britannici prevalsere le isole rimasero sotto controllo del Regno Unito. A tuttoggi l'Argentina reclama la sovranità delle isole Malvine.

Ho spedito i tuoi risparmi, tramite banca, perfino al cambio internazionale di Ginevra in Svizzera, ma li hanno rispediti indietro senza cambiarli, non c'è cambio.

E' carta senza alcun valore. Per noi, però, hanno un valore immenso e custodiamo i vecchi Pesos con cura. Rappresentano il tuo lavoro, i sacrifici, la sofferenza e la tua vita lontano da noi.

Nonno adorato, sono stordita per la tua scomparsa, ti prego, se puoi stammi vicino, aiutami ad essere santa come lo eri tu. Ora tu sei nella verità e nella luce, sono sicura che hai incontrato nonna Teresa ed insieme, liberi nello spirito e nel corpo, potete finalmente gioire della vita di Dio. Lo so che mantieni le promesse e che non ci abbandonerai mai.

 

  FRANCESCO CON I NIPOTI 

 

 

 ALLEGATO

Naufragi e miseria, pregiudizi e follia

nonni italiani dell’Argentina moderna

di GianAntonio Stella  

Corriere della Sera Venerdì 15marzo 2013

 

 

Commenti   

+3 #1 Francesca 2018-02-02 16:00
Interessante!
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