Sono Antonio D’Agostini, nato a Casalvieri nel Maggio 1939. 

I miei primi ricordi risalgono al periodo subito dopo la guerra. Vivevo a Tiscio con i mei genitori Laura ed Augusto, i miei nonni paterni Ersilia e Giovanni e mio fratello minore Tommaso.

Uno dei ricordi della mia infanzia è la figura di mio nonno Giovanni. Era un omaccione, fisicamente imponente per la sua altezza di oltre 1.90 m, che per l’epoca non era poco, tant’è che alla sua prima visita militare fu selezionato per fare il corazziere del Re, incarico che comunque rifiutò per non lasciare le sue radici. Io però lo vedevo come mio nonno, protettivo ed affettuoso nei miei confronti. Al suo fisico imponente corrispondeva una natura dolce e buona.

Ricordo che mi stava sempre dietro, mi teneva d’occhio costantemente e mi portava sempre sulle sue spalle per paura (l’ho capito dopo) che incappassi in qualche bomba lasciata inesplosa qua e là, sotto forma di oggetti camuffati : penne, binocoli ecc…

Giovanni D'Agostini

La mia adolescenza è trascorsa serena e più o meno uguale a tutti gli altri miei coetanei.

Tiscio, al contrario di oggi, era un casale popolato ed un punto di transito di tante persone provenienti da Sora, San Donato, Atina ecc…. I ragazzini giocavano per strada con giocattoli costruiti da loro con mezzi di fortuna. Ricordo le fionde fatte con i copertoni delle biciclette e stecchi di legno e le carrozzelle costruite con ruote ricavate dai tronchetti di alberi tagliati e assemblate con asse di legno. Ogni rottame trovato poteva essere fonte di un nuovo gioco.

Non avevamo quasi nulla per giocare ma non ci mancava l’inventiva e ci divertivamo lo stesso con ben poco. Da ragazzino andavo a scuola e al ritorno aiutavo i miei genitori con lavoretti di campo o controllando gli animali. Posso dire che a casa mia il cibo non mancava mai anche se era sempre lo stesso : minestra a pranzo e polenta la sera.

Gli anni passavano. Crescendo vedevo la gente andare via dal paese in cerca di fortuna. I più fortunati andavano in America (paese del sogno) passando per lo più dalla Francia. Altri andavano in Venezuela. Qualcuno in Brasile. Io cominciai a pensarci su e avendo una zia in Francia (Zia Esterina, sorella di mia madre) presi la decisione di partire per Parigi.

Era il 16 Aprile 1956 : giorno della mia partenza. Ricordo quel giorno come fosse ieri. I saluti strazianti di mia madre, le lacrime dei miei familiari.

Oggi, posso capire come si sono sentiti i miei genitori quel giorno. Avevo 17 anni, partivo con l’incognita di tutto !

Ricordo i miei sentimenti di allora : un misto di tristezza e di felicità. Tristezza perché lasciavo tutto e tutti e felicità perché avevo una grande speranza e volontà di poter migliorare la mia situazione e quella dei miei familiari.

Io sono partito col padre di un mio amico e vicino di casa : Antonio. Arrivati in Francia, dopo un po’ Antonio fece venire anche suo figlio Rolando (mio coetaneo e amico) e siccome Rolando era nato proprio in Francia prima della guerra, lui da lì potette partire per l’America. Per tanto tempo l’ho considerato più fortunato di me perché aveva avuto questa opportunità. Come ho già detto precedentemente, gli Stati Uniti erano considerati come paese del sogno, dove tutti si potevano realizzare e magari fare fortuna.

Antonio a 17 anni (Francia 1956)

A distanza di anni però, mi sono ricreduto perché tutto sommato ho avuto anch’io le mie soddisfazioni e le mie opportunità anche rimanendo in Francia e potendo ritornare più spesso nel mio paese perché più vicino, non l’ho abbandonato del tutto.

Ufficialmente, sono partito come turista ma lì subito ho cominciato a lavorare con mio zio Ernesto che era nel campo dell’edilizia.

 Arrivato in Francia ero meravigliato. Mio zio Ernesto aveva la televisione in casa, io in Italia dovevo andare a vederla la sera da Padre Filippo, sacerdote dei Roselli, insieme ad altre persone. I miei zii avevano una bella casa con acqua corrente, luce, bagni privati e addirittura il telefono.

Zio Ernesto aveva anche una bella macchina con la quale di tanto in tanto mi portava a fare un giro e la domenica mi portava anche a pescare….. insomma la mia quotidianità cambiò radicalmente. A quell’epoca la differenza tra Parigi e il mio paese natale era abissale.

Sono rimasto alle dipendenze di mio zio fino alla fine del 1956. Poi, per qualche anno sono passato da un lavoro all’altro cambiando più volte per guadagnare sempre di più, fino ad arrivare a fare un lavoro pericoloso ma ben retribuito sui ponti volanti a livello dell’undicesimo piano dei palazzi parigini.

Ricordo un episodio molto triste. Un giorno, di fronte al palazzo dove lavoravo a tanti piani di altezza, ho assistito a un incidente di lavoro : un operaio del palazzo di fronte è caduto.

Io stavo talmente in altro che ho potuto solo sentire le sirene delle ambulanze e non ho mai saputo la sorte di quel poveretto. Ma quest’episodio mi colpì profondamente. Quel giorno non potei più continuare a lavorare, rientrai da una finestra del palazzo e tornai a casa. Da quel giorno, ho avuto la consapevolezza che non valeva la pena rischiare la vita per guadagnare qualche soldo in più e decisi di cambiare di nuovo lavoro.

Continuavo a lavorare con impegno. Ma ero giovane e mi piaceva il divertimento, perciò dopo una dura settimana di lavoro nei week-end andavo in piscina con gli amici. Avevo fatto l’abbonamento, e andando a nuotare associavo l’utile al dilettevole : infatti, allora abitavo da solo dentro un garage senza troppe comodità (avevo solo un bagnetto con lavandino senza doccia) e così facendo riuscivo anche a farmi la doccia.

Nel frattempo tornavo in Italia a trovare i mei parenti, sempre nei mesi invernali, quando il lavoro a Parigi era minore.

Dopo circa 5 anni di duri sacrifici, la mia situazione si stabilizzò e potei far venire in Francia anche mio fratello Tommaso e poco dopo mio cugino Elvidio.

Gli inizi sono stati duri per tutti ma i nostri sacrifici venivano ripagati dal guadagno adeguato e dal fatto di poter aiutare i genitori rimasti in patria.

Si lavorava per un solo obbiettivo : RITORNARE UN GIORNO PER SEMPRE IN ITALIA.

Intanto, gli anni passavano e nel 1963 tornai in Italia per sposare Lidia. Nel 1964 nacque Mirella e nel 1965 ci fu un altro cambiamento per me : mi sono messo finalmente in proprio. All’inizio lavoravo da solo e dopo un anno sono riuscito ad assumere Tommaso ed Elvidio diventato nel frattempo mio cognato perché fratello di Lidia.

Insieme lavoravamo sodo. Riuscimmo a costruire una casa ciascuno. Nel 1967 nacque anche il mio secondogenito Augusto.

La costruzione edilizia rendeva ma io ero sempre alla ricerca di nuove idee e mi venne in mente di cambiare attività : volevo commerciare con l’Italia. Iniziò così la mia nuova attività di rivendita di marmo e ceramica provenienti dall’Italia.

 

Paray-Vieille-Poste. Antonio, Tommaso e (il piccolo) Augusto.

Questa nuova attività mi ha legato, in un certo senso, ancora di più al mio paese. In effetti, tornavo praticamente tutti i mesi per caricare la merce da rivendere a Parigi. Il marmo lo caricavo a Carrara e Brescia e la ceramica a Modena e Reggio Emilia. I miei clienti erano per lo più italiani. Durante tutti quelli anni ho conosciuto tante persone e stando nel commercio ho ascoltato tanti racconti. Ricordo tutti con piacere e un po’ di nostalgia.

Ricordo anche un episodio pauroso : durante un viaggio di ritorno col camion con mio fratello Tommaso, dopo aver caricato il materiale, mi imbattei in una deviazione stradale. Di solito facevo sempre la stessa strada che conoscevo a memoria ma quella volta presi una strada a me sconosciuta e arrivai in prossimità di una discesa ripida. Man mano che scendevo, mi accorgevo che i freni si surriscaldavano fino a non funzionare più. Il camion non rispondeva alle mie frenate. Tommaso dormiva nella cabina, era notte. La mia paura cresceva ma ad un certo punto ho avuto l’intuizione di buttarmi nella corsia opposta dove c’era la roccia in modo che le piccole botte potessero frenare il mezzo. Col buio della notte potevo infatti controllare che di fronte a me non arrivava nessuna macchina. L’ho fatto per 2 o 3 volte finché effettivamente il camion si è fermato…. Però in bilico, sulla roccia.

Naturalmente, nel frattempo Tommaso si era svegliato impaurito e consapevoli tutti e due che avremmo potuto non farcela. Stavamo proprio rischiando la vita !

Dopo esserci fermati, ricordo che sono passati pure diversi veicoli, ma nessuno si è fermato a soccorrerci, io penso per paura.

Dopo un certo lasso di tempo, i freni si sono raffreddati e piano piano sono riuscito a riposizionare il mezzo sulla corsia di marcia. Siamo ripartiti e abbiamo affrontato la discesa col solo freno motore, cioè con la prima marcia ingranata.

Nel corso degli anni, ripensando a quell’episodio, io e Tommaso ci siamo sentiti miracolati.

Oggi, mio figlio ha ripreso l’attività di famiglia e l’ha incrementata ed io non posso stare senza passare di lì tutti i giorni.

Per tanti anni ho pensato di poter tornare per sempre a Tiscio ma si sa, la famiglia cresce, le esigenze e le abitudini cambiano.

I miei figli e le mie 4 nipotine vivono in Francia ed io e mia moglie non possiamo vivere lontano da loro. Perciò siamo rimasti li e finché possiamo torniamo il più possibile in Italia.

Raccontando il mio passato voglio concludere dicendo che ringrazio davvero tanto la Francia, che mi ha accolto e permesso di diventare quello che sono. Ma non dimentico le mie origini casalvierane e cerco di tramandare i miei ricordi ai miei cari.

Rifarei tutto quello che ho fatto e mi sento di appartenere in ugual misura a due paesi : Italia – Francia.

 

Testimonianza raccolta da Laura D’Agostini

 

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